Imprese che se ne vanno e che ritornano in Italia, e quelle che investono all’estero
Il tema dell’esodo delle aziende italiane all’estero è all’ordine del giorno, sia che si tratti di aziende italiane che portano la produzione in luoghi a minore costo del lavoro, sia che sia il caso di aziende del nostro Paese acquisite da gruppi stranieri, e di conseguenza in molti casi smantellate.
Durante la grande recessione l’Italia ha perso quasi il 30% della propria produzione manifatturiera, soprattutto perchè al calo di produzione in settori tradizionali non è corrisposta la nascita di una industria dei servizi avanzata, soprattutto a livello tecnologico, come negli altri Paesi.
Tuttavia molto meno conosciuta è la tendenza al reshoring (o back-shoring), ovvero al ritorno di produzioni in Italia, soprattutto in alcuni settori. E’ un fenomeno in atto da pochi anni a livello mondiale, partito negli USA, e che ora coinvolge appunto soprattutto il Nord America e l’Europa Occidentale, come vediamo dal seguente grafico del report del Uni CLUB MoRe Reshoring, un centro di ricerca composto da docenti e ricercatori delle Università di Catania, L’Aquila, Udine, Bologna e Modena & Reggio Emilia che si interessa di studiare le caratteristiche di questo fenomeno.
L’Uni CLUB ha costruito, assieme a Federazione ANIE ( che rappresenta le imprese elettroniche ed elettrotecniche italiane) una banca dati con circa cinquecento evidenze di imprese internazionali che hanno deciso di riportare in patria produzioni prima localizzate all’estero, più precisamente, lo studio riguarda sia i“rimpatri” relativi sia a produzioni internalizzate (ovvero svolte presso propri stabilimenti) sia quelle in outsourcing (ovvero gli acquisti effettuati da fornitori esterni).
Di fatto l’Italia è ora il secondo Paese al mondo interessato dal fenomeno dopo gli USA e davanti a Germania e Gran Bretagna.
I Paesi abbandonati dalle aziende italiane sono in gran parte, al 51%, quelli asiatici, in primis naturalmente la Cina, ma anche, al 26,7%, l’Est Europa.
Le imprese che ritornano, quali e perchè?
Ma quali sono le aziende che ritornano in Italia? Non stupisce che al 43% si tratta di aziende tessili e di abbigliamento, la colonna portante del Made in Italy, per cui la qualità e la produzione interna conta agli occhi del mercato internazionale, soprattutto nella fascia alta. Lo vediamo nel seguente grafico:
Dopo viene al 18,6% il gruppo di aziende ANIE, imprese particolarmente interessanti proprio per il settore merceologico che rappresentano e di cui abbiamo dati più specifici, avendo la federazione contribuito alla ricerca.
Nel caso di queste imprese l’area principale di provenienza è l’Est Europa, che con il 38,5% supera la Cina.
Si tratta di ritorni sia di aziende di grandi dimensioni (in maggioranza chiaramente al 60%), che di piccole aziende. Convivono naturalmente gli esodi (il 30% ha delocalizzato negli ultimi 5 anni) e il reshoring (il 10% lo ha fatto nello stesso periodo di tempo).
Quello che però ci interessa maggiormente è: perchè queste imprese ritornano?
Quello che emerge, almeno per le imprese ANIE, è che non sono tanto i costi la principale motivazione, ma la qualità: come vediamo di seguito la principale motivazione è il minore livello dei controlli sulla qualità della produzione, per un quarto per la maggiore vicinanza ai centri di R&S italiani. Di fatto per il 58,3% la produzione estera non dà abbastanza garanzie sulla qualità. Per il 53% (erano possibili più risposte) c’è anche una componente di costi, soprattutto relativi alla logistica.
Le imprese italiane che investono all’estero, in testa il settore edile
Dal 2004 al 2013 è più che triplicato (+206%) il valore del fatturato delle imprese italiane all’estero, passando da poco più di 3 a oltre 9,5 miliardi di euro e che rappresenta ormai il 60% del fatturato totale prodotto.
E’ un trend di lungo periodo, e noto, e in particolare vale la pena lanciare uno sguardo a quel settore che è in terribili condizioni in Italia, l’edilizia, Secondo l’Ance, (l’Associazione Nazionale Costruzioni Edili), il fatturato delle imprese di costruzioni italiane all’estero è più che triplicato in meno di dieci anni, con una produzione aumentata dell’8,6% e un portafoglio arricchito di 319 lavori, per 17 miliardi di euro nel 2013, di cui 11 di quota italiana, per arrivare a un portafoglio complessivo di 39 miliardi. In particolare è nei Paesi del G20, un ambiente difficile e molto competitivo, che si sono concentrati nuovi lavori, per 8 miliardi di euro, vale a dire il 46% del totale.
Al di là di autostrade e ferrovie le imprese di costruzione italiane stanno conquistando fette di mercato anche nell’ambito di impianti ambientali, edilizia sanitaria, hotel e centri di ricerca.
A livello di aree rimane forte la presenza in Sud America (in calo però dal 28 al 24,7%), mentre sale in Medio Oriente (dal 10 al 16,3%), ma vediamo meglio il grafico di seguito:
Si tratta quindi di un panorama economico sempre più segmentato quello davanti al quale ci troviamo, con:
– imprese rivolte al mercato interno in crisi
– imprese che spostano la produzione all’estero per risparmiare costi
– imprese che rimangono in Italia ma investono e aumentano fatturato all’estero
– imprese che ritornano e riportano la produzione in Italia
Queste grandi differenza creano anche tra i lavoratori differenze sempre maggiori rispetto a prima, e però allo stesso tempo indicano a tante imprese rimaste “impantanate” una strada da percorrere, quella che più si adatta alla sua produzione, per uscire dalla crisi.