Che M’Baye Niang fosse un talento puro lo hanno sempre pensato più o meno tutti. Cosi come – sempre più o meno tutti – si sono chiesti come fosse possibile che il giovane francese facesse così fatica ad esprimere le potenzialità che con evidenza emergevano.
Classe 1994, nato a Parigi da genitori senegalesi, Niang si avvicinò al calcio a 7 anni: una breve esperienza a Poyssi e poi Caen dove, scalate in fretta le gerarchie, a 16 anni e 114 giorni diventò il più giovane esordiente in Ligue 1. Nell’estate del 2012, Braida se ne innamorò e convinse Galliani a portarlo a Milano bruciando la concorrenza di mezza Europa.
Tutti, compreso Massimiliano Allegri, si accorsero dell’incredibile talento di Niang: capace di giocare sia da esterno di attacco che da punta centrale, già a 17 anni il ragazzo francese metteva insieme tecnica e forza fisica oltre la media per uno della sua età. Tanto talento abbinato a tanta follia: nel settembre del 2012, fermato al volante senza patente, dichiarò di essere il compagno di squadra Traorè. Un mese più tardi poi lasciò di nascosto il ritiro della nazionale francese per dedicarsi con i compagni M’Vila, Griezman, Mavinga e Ben Yedder ad una ben più divertente serata in discoteca beccandosi una squalifica di un anno.
Intemperanze, bizze e l’inseparabile cresta da cui Niang non si separava mai (come gli allora compagni di reparto Balotelli ed El Shaarawy), che ne hanno frenato inesorabilmente la crescita. Sintesi dei primi anni in rossonero, il colossale contropiede sprecato, il 12 marzo 2013 al Camp Nou contro il Barcellona, nel ritorno degli ottavi di Champions League. Allegri lo aveva schierato a sorpresa, Niang – in una partita si, davvero complessa – deluse sprecando un’altra occasione.
Nella stagione successiva Niang rimase spesso in panchina e fuori dalla lista Uefa cosa che a gennaio lo portò a cambiare aria. Il ritorno in Francia al Montpellier, condito da qualche gol e tante buone prestazioni. Ma il lato oscuro dell’attaccante francese era ancora li e ancora una volta si rese protagonista di una spiacevole avventura alla guida di una Ferrari, nonostante gli avessero già ritirato la patente qualche tempo prima. Quattro auto urtate e un testacoda prima di schiantarsi violentemente contro un albero. Fuggì a piedi ma non al responso del giudice: patente annullata e condanna a 18 mesi con la condizionale.
Rispedito – in fretta – a Milano Niang sembrava pronto a ripartire da e con Pippo Inzaghi. Le buone premesse furono però ancora una volta non mantenute: 5 presenze e un totale di 82 minuti in 6 mesi. Se le presenza mancavano, in compenso l’attaccante collezionava procuratori, 4 in quattro anni. Lo scorso gennaio è ripartito da Genoa e da Gasperini dove finalmente è riuscito a far apprezzare le sue qualità: 5 gol da febbraio a maggio con Preziosi che ha fatto di tutto per provare a trattenerlo.
Nel destino di Niang però c’era e c’è il Milan. Ritornato in sordina alla corte di Mihajlovic, con tanto lavoro e tanta dedizione – oltre al talento mai in discussione – ha conquistato il tecnico serbo. Un grande precampionato, un infortunio che lo ha tenuto fuori per oltre due mesi ma al rientro subito grande fiducia. Tra i migliori per applicazione tattica contro la Juventus, contro la Sampdoria si è sbloccato realizzando il primo gol in Serie A dopo 36 mesi in rossonero, ripetendosi due giorni più tardi in Coppa Italia contro il Crotone. Adesso Niang non vuole più fermarsi ed è pronto a togliersi di dosso l’etichetta di eterna promessa incompiuta.