E’ iniziata la grande operazione promossa dalla BCE guidata da Mario Draghi: immettere sui mercati 60 miliardi di euro al mese (fino a settembre 2016), tramite l’acquisto di titoli di titoli di Stato, titoli cartolarizzati, obbligazioni garantite e obbligazioni di istituzioni europee. E’ il Quantitative easing, che ha come obiettivo quello di far calare il tasso di inflazione al 2%, riattivare il credito nell’Eurozona e far riprendere le esportazioni europee, il cui calo è oramai un endemismo del Vecchio Continente, specialmente per la sua parte più meridionale, ovvero il Sud d’Europa.
In merito bisogna dire che, almeno stavolta, se Atene piange, Sparta non ride: il crollo del commercio ha infatti caratterizzato anche la Germania, epicentro economico dell’Unione, che difatti a dicembre aveva un surplus della bilancia commerciale pari a 21,39 miliardi di euro, ed a gennaio ha subito un calo del 2,1%, portando gli indicatori a 19,7 miliardi.
Ufficiosamente, forse anche a causa di questo cedimento del gigante tedesco l’operato della Bce avrà di nuovo come maggiore leva la Bundesbank, che ha la quota maggiore nelle partecipazioni dell’Eurotower, e che si vedrà acquistare un notevole numero di Bund tedeschi (seguiranno poi quelli francesi ed poi quelli italiani, terzi nella fila).
Una preferenza finanziaria che si incunea al delicato problema politico del rapporto greco-europeo, che sembra di nuovo potersi inclinare a causa dell’impossibilità da parte della Banca centrale europea di sostenere il governo di Atene, che dovrebbe prima siglare l’accordo per il rimborso dei prestiti in scadenza: una garanzia che consentirebbe alla Bce di intervenire sul debito pubblico greco, valutato come “spazzatura” e quindi ad alto rischio. Si registra dunque una preoccupazione/attenzione dei mercati internazionali alla questione greca, giacché l’Eurogruppo ha inoltre già bocciato le proposte della Repubblica Ellenica, sentenziando che a marzo non riceverà alcun prestito.
Draghi e i mercati preoccupati
Le preoccupazioni dei mercati, che ovviamente non concernono soltanto alla crisi greca ma anche ad una generale instabilità, devono evidentemente aver avuto il sopravvento sull’ottimismo dell’operazione Quantitative easing, almeno in queste sue primissime fasi. L’euro è ancora debole, e, rispetto al dollaro, resta ai minimi del 2003: 1,08. Le borse hanno inoltre aperto in rosso, là dove Londra e Parigi hanno ceduto lo 0,6% e Francoforte lo 0,35%, così come Piazza Affari, che ha aperto in rosso ed è poi tornata ad una parità.
Ad Ovest, oltre l’Oceano le notizie non sono migliori: venerdì sera Wall Street ha archiviato una pessima seduta, il cui clima era stato nettamente condizionato dalla paura di un rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve. Mentre ad Est, verso l’Asia, la Borsa di Tokyo registra scambi a – 0,95%. Proprio il Giappone però, a differenza di grandissima parte del cosiddetto Nord del Mondo (e cioè l’epicentro economico del Globo), inizia a dare buoni segnali di ripresa, dando l’idea di essere uscito dalla recessione tecnica, arrivando infatti a far crescere il Pil dello 0,4%. Nel Paese del Sol Levante aumentano le partite correnti fino all’equivalente di circa 470 milioni di euro, date dall’aumento delle esportazioni (aumento del 15,3%, una cifra rilevante) e da altri fattori come l’indebitamento dello yen. A ciò si aggiunge una netta riduzione delle importazioni, in calo dell’8,9%.
Come ultimo indicatore sui mercati, bisogna far presente che in merito alle materie prime le quotazioni sul petrolio con contratti a greggio Wti (mercato after hour di New York) con scadenza ad aprile perdono 29 centesimi a 49,32 dollari al barile. L’oro invece cresce dopo la pesante caduta del venerdì scorso: guadagna lo 0,4%, arrivando ad uno scambio pari a 1.170 dollari l’oncia.