Fino a che punto è disposto a spingersi un uomo, per assecondare la passione? Non esiste una risposta. O meglio, le risposte possibili sarebbero tante, una per ciascuno di noi. Andrew, per esempio, è un giovane batterista che frequenta il primo anno del Conservatorio di Manhattan. Lui non vuole “solo” migliorare come musicista. È deciso a diventare leggenda, ispirandosi a figure come Charlie Parker.
Per riuscirci, è pronto a tutto, perfino a piegare il corpo alla volontà dell’ambizione. Con Whiplash il regista Damien Chazelle ci porta a fare un viaggio attraverso la musica. Una “galassia” che è croce e delizia per chi la ama come il ragazzo.
La storia
Un giorno Andrew ha l’opportunità di esprimere il proprio talento, dimostrando di avere qualcosa in più dei compagni. Il maestro Terence Fletcher lo sceglie infatti per la sua band. L’entusiasmo è tale, da rendere sopportabile qualsiasi sacrificio, letteralmente. Il giovane ha un solo obiettivo: plasmare la vita, in tutti i suoi aspetti (fisico, relazionale, familiare) alla realizzazione di quella “vocazione” chiamata musica. Eppure questo non basta al suo mentore, tanto carismatico sul piano artistico quanto ruvido su quello umano. E il punto di rottura del loro rapporto avrà conseguenze ben più profonde e durature di quello che credono.
Whiplash nasce in sordina. Metaforicamente e letteralmente. Trae infatti spunto dall’omonimo corto di Damien Chazelle, regista 30enne al suo secondo film. La storia è un omaggio agli outsider, perché “celebra” uno strumento e un genere musicale solitamente bistrattati, la batteria e il jazz.
Ironia, crudeltà e crudezza. Per affrontare la vita servono tutte e tre le cose, in quantità e ordine variabili. Come tutte le passioni, la musica è esigente. Vuole che le si dedichi tempo, mente e corpo, fino alle estreme conseguenze. Fino a consumarsi.
Tutti abbiamo avuto nel nostro passato un insegnante inflessibile e stimolante. Quasi impossibile non rivederlo nel Terence Fletcher di J. K. Simmons. E come non immedesimarci in Miles Teller, ripensando a una passione che ci ha messo alla prova?
Whiplash ci parla della vita. “Accende i riflettori” sulla sua avarizia e volubilità, che non ci impediscono di “assuefarci” a essa. Ma solo se accettiamo i suoi “spigoli”, l’assenza di un happy ending permettendo alle nostre aspirazioni di guidarci, potremo dire di averla vissuta appieno.
Un film che regala uno sguardo inconsueto e una dolcezza sottotraccia. Una rarità da scoprire con occhio allenato, e che gli è valsa numerosi premi in festival internazionali, Oscar compresi.