La storia dell’Italia nell’Euro è anzitutto una storia dei miti e delle false credenze che si sono addensati intorno alla moneta unica in alcuni momenti cruciali della storia nazionale dell’ultimo quindicennio, a partire dal fantomatico peccato originale del presunto cambio “sbagliato” della Lira contro la divisa europea.
L’inflazione galoppante
In realtà, siccome il cross era stato congelato senza trauma alcuno già il 1 Gennaio 1999, la famigerata vampata inflazionistica percepita nel 2002 in concomitanza con l’inizio della circolazione fisica dell’Euro, piuttosto che ad una fantomatica sottovalutazione della Lira, era evidentemente da imputare ad un mercato interno poco concorrenziale, in cui molti operatori approfittarono del cambio di stagione per ritoccare i prezzi nell’indifferenza del governo nazionale allora in carica.
Curiosamente la ben nota leggenda delle 1.500 Lire come “quotazione giusta” per l’Euro contraddice sfacciatamente un’altra delle più comuni e infondate credenze sulla moneta unica, quella secondo cui la divisa europea, a causa delle sua eccessiva forza, avrebbe danneggiato irreparabilmente gli esportatori italiani, quando invece il commercio estero è l’unico indicatore della nostra economia che dagli anni 2000 ad oggi mostri, sia in senso assoluto, sia in comparazione con gli altri Paesi, un andamento soddisfacente. Le tanto discusse divergenze osservate tra economia tedesca ed economia italiana dal 2004-2005 in poi quindi, più che all’Euro e al tasso di cambio Lira/Euro, vanno ricondotte al percorso di riforme allora intrapreso da Berlino e colpevolmente rimandato da Roma.
La tempesta dello spread
La confusione tornò a circondare la moneta unica nel 2011, allorché la risalita del differenziale BTP-Bund dai minimi, su cui esso era stato schiacciato per dieci anni proprio dall’introduzione dell’Euro, diede adito all’idea che la moneta unica comportasse per l’Italia in qualche modo un aumento del costo del debito. In realtà i tassi di finanziamento italiani nel 2011 (6% sul decennale) non erano storicamente alti –erano piuttosto i tassi tedeschi ad essere eccezionalmente bassi- e bastava tornare al anni ‘92 per osservare sui nostri titoli decennali spread (7%), interessi nominali (14%) e reali (inflazione al 5%-6% contro il 2%-3% del 2011) molto, molto più alti. A conti fatti sul fronte degli interessi per l’Italia l’Euro è stato un affare, solo che l’impossibilità di espandere il debito pubblico illimitatamente, come piacerebbe alla classe politica, invece che essere accettata come universale condizionamento delle leggi economiche, è stata spacciata per una specie di imposizione dell’Euro e della BCE, che -si dice con linguaggio volutamente improprio- si rifiuterebbe di “stampare moneta”.
La politica della BCE
A ben vedere la BCE genera moneta elettronica su commissione delle banche come tutte le altre banche centrali, mentre le è vietato per statuto finanziare direttamente i governi alle aste primarie, come è vietato alla FED, alla BOE e anche alla BOJ: queste banche centrali effettuarono invece acquisti di titoli di stato sul mercato secondario, come d’altronde ha fatto la stessa BCE. Proprio l’Italia anzi è stata la prima beneficiaria (€ 103 Md.) del programma di acquisto di obbligazioni governative SMP dell’Eurotower e (€ 110 Md.) e del programma di finanziamenti agevolati alle banche LTRO che è servito a fornire indirettamente liquidità i governi con problemi di funding nella fase più acuta della crisi a cavallo tra il 2011 e il 2012.
Successivamente la BCE è nuovamente intervenuta a manipolare il mercato obbligazionario, prima “verbalmente” nell’estate del 2012, con l’annuncio del programma OMT, la cui sola virtuale esistenza determinò un nuovo crollo dei costi di finanziamento per l’Italia, e poi fattivamente nel 2015, con un programma di acquisti di titoli di stato potenzialmente illimitato (QE) fortemente sponsorizzato da Roma e invece apertamente osteggiato dalla Bundesbank. Che l’ulteriore compressione dei costi d’indebitamente dell’Italia sia del tutto artificiale è dimostrato dal grave deterioramento subito dalla posizione finanziaria della Banca d’Italia nell’ambito Eurosistema nel corso del 2014, che documenta ingenti flussi di capitali in uscita dal nostro Paese; tali passività comunque sono automaticamente nettate nell’ambito del sistema di pagamenti Target-2, uno strumento di solidarietà tra banche centrali nazionali che non esiste negli USA -ove le FED regionali sono tenute per regolamento a liquidare periodicamente le rispettiva posizioni finanziarie con cessioni di asset– e che ha suscitato un aspro dibattito in Germania, mentre è stato del tutto ignorato al di qua delle Alpi, probabilmente perché poco funzionale alla costruzione del mito politico di una BCE indifferente od ostile all’Italia.
Attigua anche se non necessariamente inerente all’Euro è in fine la questione dei vincoli di bilancio comunitari. A tale proposito occorre notare che l’Italia, oltre a detenere a livello generale il triste record delle procedure d’infrazione UE, con specifico riferimento alla finanza pubblica ha chiuso dal 2000 ben 8 esercizi con un disavanzo superiore al 3% del PIL e non si è mai avvicinata neppure in un solo esercizio al limite del 60% del PIL previsto per il debito pubblico, senza mai essere per questo sanzionata; per cui il continuo riferimento all’esistenza di un presunto vincolo giuridico esterno alla disciplina di bilancio nell’ambito della dialettica politica italiana, sia in chiave perorativa, sia in chiave polemica, appare del tutto infondato se non mistificatorio.
In definitiva, delle molte fosche credenze che aleggiano intorno all’Euro nessuna regge davvero ad un’analisi rigorosa ed oggettiva dei fatti: esse risultano invece essere tutte semplici miti strumentali alla strategia comunicativa di una classe politica incapace di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e dei propri errori.
Dario Bortoluzzi