Elezioni Israele: manca meno di una settimana. Una consistente fetta dei programmi elettorali dei dodici partiti che si sfideranno il 17 Marzo è rappresentata dalla linea da adottare nei confronti delle più importanti direttrici che animano il conflitto israelo-palestinese, in fase di stallo ormai da decenni.
Elezioni Israele, Sondaggi
Secondo recenti sondaggi condotti in Israele, si profila un testa a testa tra il Likud, il partito di destra dell’attuale Primo Ministro Banjamin Netanyahu, e l’Unione Sionista, che rappresenta la sinistra labourista israeliana ed è guidato da Isaac Herzog, suo cofondatore insieme a Tzipi Livni, attuale Ministro della Giustizia. Non si tratta, però, degli unici partiti che sarebbero in grado di conquistare un numero significativo di seggi all’interno del Parlamento.
Gli stessi sondaggi annoverano tra le liste più significative in termini di attese elettorali, la Casa Ebraica (HaBayit HaYehudi), partito sionista religioso di estrema destra, guidato da Naftali Bennett, attuale Ministro dell’Economia, la Lista Unita Araba, che raccoglie diverse formazioni rappresentative di quel 20% della popolazione israeliana costituita da arabi, e capeggiata da Ayman Odeh, avvocato quarantenne di Haifa, e lo Yesh Atid (“C’è un futuro”), partito laico di centro, guidato dall’ex-giornalista ed ex-Ministro delle Finanze Yair Lapid.
Elezioni Israele, Likud
Il Likud dell’attuale Primo Ministro, il quale potrebbe giungere al suo terzo mandato consecutivo se fosse in grado di formare una coalizione con i partiti di destra più piccoli, avversa la creazione di uno stato palestinese ad Ovest del fiume Giordano, sebbene non si opponga ad un’amministrazione autonoma palestinese. Esclude ogni negoziato su Gerusalemme, che, a suo dire, rimarrebbe la capitale eterna del popolo ebraico, e incoraggia l’espansione delle colonie israeliane a Gerusalemme Est e nelle alture del Golan.
Vorrebbe, altresì, garantire libertà di culto e di religione e il libero accesso a tutti i luoghi sacri a Gerusalemme per tutte le confessioni religiose. A questo quadro generale andrebbero, però, aggiunte le considerazioni di Netanyahu sul diritto al ritorno dei Palestinesi che, a seguito della proclamazione dello Stato di Israele nel 1948, sono stati costretti a trovare rifugio all’estero, dovendo spesso accontentarsi di vivere in condizioni di apolidia.
Il Primo Ministro israeliano non ha dubbi: la questione andrebbe risolta solamente nel contesto di uno stato palestinese, alla cui creazione, però, il suo partito si oppone. Insomma, un secco “no”. E, dunque, il programma pare sostanzialmente incoraggiare il mantenimento dello status quo.
Elezioni Israele, Unione Sionista
L’Unione Sionista, guidata da Isaac Herzog e Tzipi Livni, sembrerebbe adottare una linea più morbida nei confronti della controparte palestinese. Fondamentalmente, il partito labourista sarebbe favorevole ad una spartizione dei territori nell’ottica della creazione di due stati sovrani e indipendenti, uno israeliano e l’altro palestinese, ma non nel rispetto dei confini stabiliti nel 1967, se non altro per il fatto che, secondo fonti ufficiali, se da un lato andrebbe incoraggiato lo smantellamento delle colonie israeliane in territorio palestinese, i maggiori insediamenti, quale quello di Maaleh Adumim, andrebbero permanentemente annessi allo Stato di Israele.
Inoltre, nessun ammorbidimento sarebbe previsto con riferimento allo status di Gerusalemme, su cui si rimanda alle posizioni del Likud. Per quanto riguarda il diritto al ritorno, anche Herzog e Livni ritengono che la questione vada risolta nell’ottica di un futuro stato palestinese.
In buona sostanza, se da un lato l’Unione Sionista vorrebbe sembrare più disponibile nei confronti dei Palestinesi, tale disponibilità sarebbe limitata e soprattutto, ancora una volta, contraria al diritto internazionale, che esclude radicalmente la legalità delle colonie israeliane in territorio palestinese.
Elezioni Israele, Casa Ebraica
Ancora più radicale appare la linea politica di Casa Ebraica, il partito ultra-nazionalista di Naftali Bennett, che, rappresentando gli Ebrei Ortodossi più moderni, tra i quali molti, per scelta ideologica, hanno preso parte attiva alla creazione degli insediamenti in Cisgiordania, difende il diritto divino del popolo ebraico ad esercitare la propria sovranità su tutta la c.d. “Terra di Israele”, inclusa la Cisgiordania.
Nessuna concessione, dunque, al popolo palestinese, che non avrebbe diritto né ad uno stato sovrano e indipendente, né ad alcuna pretesa su Gerusalemme. Sul diritto al ritorno, appare chiaro che la soluzione, secondo Casa Ebraica, dovrebbe essere ricercata e trovata negli stati che hanno accolto i profughi palestinesi.
Elezioni Israele, Lista Unita Araba
Il timore di non raggiungere la soglia del 3,25% necessaria per poter essere eletti alla Knesset, ma ancor più le dichiarazione xenofobe di alcuni politici israeliani (tra tutte, spiccano le dichiarazioni del Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il quale, pochi giorni fa, ha dichiarato che tutti gli arabi israeliani che sono contro Israele dovrebbero essere decapitati), hanno indotto i partiti arabi Ra’am Ta’Al, Balad e il Movimento Islamico a unirsi nella coalizione della Lista Unita Araba, cui inaspettatamente ha di recente aderito anche il partito di sinistra radicale Hadash (acronimo per “Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza”), guidato dall’ex-Presidente della Knesset e dell’Agenzia Ebraica, Avraham Burg.
La Lista, capeggiata da Ayman Odeh, si professa in favore di una società israeliana più democratica, egualitaria e pacifica. Si propone, in sostanza, la creazione di una cittadinanza maggiormente inclusiva, di gran lunga diversa da quella attualmente vigente, volendo così equiparare tutti i cittadini israeliani, e ponendosi come principale punto di riferimento per l’elettorato arabo-israeliano, senza per ciò stesso escludere un’attenzione particolare per gli ebrei israeliani o gli israeliani che non si rispecchiano nel sionismo.
Ciò comporta, chiaramente, uno “stop” categorico agli insediamenti israeliani in territorio palestinese, così come l’appoggio alla creazione di due stati, uno israeliano e l’altro palestinese. Cionondimeno, la Lista Unita sembra non riscuotere grande successo nelle aree limitrofe alla Cisgiordania e nel Neghev, dove la sfiducia nei confronti della politica israeliana, induce una parte di attivisti ad incoraggiare il boicottaggio delle elezioni della Knesset.
Elezioni Israele, Yesh Atid
Infine, il partito di centro di Yair Lapid propone una soluzione al conflitto fondata su due stati sovrani e indipendenti, nonché sull’abbandono di ogni progetto riguardante la creazione di uno stato israeliano ebraico, il cui effetto sarebbe quello di creare cittadini di serie A e cittadini di serie B.
Nettamente più conservative appaiono le posizioni dello Yesh Atid con riguardo a Gerusalemme e il diritto al ritorno dei Palestinesi, giacché si tratta di questioni a cui, a detta di Lapid, i Palestinesi dovrebbero rinunciare. Controversa appare, invece, la posizione del partito nei confronti degli insediamenti israeliani in territorio palestinese, giacché, se da un lato Lapid si era opposto alla politica espansionista di Benjamin Netanyahu e per questo era stato silurato dall’attuale Primo Ministro, dall’altro, lo stesso Lapid, avrebbe dichiarato che non si opporrebbe alla “naturale espansione” delle colonie, né agli incentivi economici concessi da Israele a potenziali coloni.
Cosa intenda per “espansione naturale” non si comprende, ma, d’altro canto, non vi è da stupirsi dato che i confini delle colonie non sono mai stati definiti con chiarezza, proprio per favorire questa c.d. “espansione naturale” degli insediamenti.
Elezioni Israele, Soluzioni inadeguate
Il panorama è certamente variegato e più complesso di ciò che si potrebbe immaginare, ma resta il fatto che, se si esclude la Lista Unita Araba, talune delle questioni cruciali che animano il conflitto israelo-palestinese, trovano, per lo più, soluzioni inadeguate nei programmi dei principali partiti politici.
Ci si riferisce in particolare agli insediamenti israeliani, in flagrante violazione del diritto internazionale, e allo status di Gerusalemme, la cui soggezione di fatto al controllo israeliano è, anch’essa, contraria al diritto internazionale, in quanto frutto di un’annessione territoriale per mezzo dell’uso della forza.
Ma il problema più grande, forse, e che molto spesso rimane celato agli occhi dei più, se non in periodi di sensazionalismo giornalistico, è proprio quello dei diritti fondamentali delle vittime (principalmente palestinesi, non lo si può negare) del conflitto e dell’accesso alla giustizia, un problema, insomma, che prescinde dalle variegate soluzioni politiche che vengono proposte alla questione israelo-palestinese.
Piergiuseppe Parisi