Silvio Berlusconi è stato assolto in Cassazione. Secondo i giudici non avrebbe commesso i reati di concussione (per costrizione e non per induzione come richiesto dai pm) e prostituzione minorile per cui era stato condannato in primo grado a sette anni (6 per il primo reato più uno per il secondo) il 24 giugno 2013 e poi assolto in appello 18 luglio dell’anno successivo. E questo è un fatto. D’altra parte, come sa benissimo un qualunque studente di giurisprudenza, i giudici sono chiamati a far rispettare la legge secondo i codici. E assolvere non sempre significa ammettere l’insussistenza di un fatto. Spesso, infatti, questo è palese ma può non costituire reato. Per questo l’imputato viene assolto. E anche questo è un fatto. Nel mezzo ci sono le interpretazioni, che sono tutt’altra cosa.
Le motivazioni di appello
Dopo l’appello che aveva ribaltato la sentenza di primo grado assolvendo l’ex Cavaliere, grida di giubilo e fiumi di inchiostro contro le “toghe rosse” milanesi avevano riempito le prime pagine dei giornali. Giuliano Ferrara per esempio scriveva sul suo Foglio: “E’ noto che Berlusconi non ama giocare a canasta con i suoi coetanei. Gli piace divertirsi, frequentare le ragazze, dare cene e soddisfare il suo narcisismo e la sua voglia di vivere. Potranno anche aver fatto il gioco della lap dance, ma per quante leggerezze possa aver commesso, l’idea che fosse a capo di un racket di prostituzione poteva venire solo a una giustizia ripugnante, codina e reazionaria, che da 20 anni ha provato a riscrivere la storia, prima condannando i partiti poi chi ha tenuto le redini del Paese” (19.07).
Poi, però, sono arrivate le motivazioni della sentenza che, naturalmente, solo in pochi hanno letto e capito fino in fondo. Nel dispositivo infatti si legge che “Berlusconi intervenne pesantemente sulla libertà di autodeterminazione del capo di gabinetto e, attraverso il superiore gerarchico, sul funzionario in servizio quella notte in questura. E’ sicuramente accertato che l’imputato, la notte del 27-28 maggio 2010, abusò della sua qualità di presidente del Consiglio. Le “cene eleganti” erano intrattenimenti e interazioni a sfondo sessuale; Ruby vi partecipò in svariate occasioni e almeno due volte si fermò a dormire; di suo, già esercitava attività di prostituzione per far fronte alle proprie esigenze di vita; e da Berlusconi fu pagata, con un enorme ammontare di denaro ricevuto in brevissimo arco di tempo”.
Quindi ci fu “abuso” e “prostituzione”. Ma per condannare per il reato di “concussione per costrizione”, commesso secondo i giudici di primo grado, ci vuole la prova che Berlusconi avesse promesso “denaro o altra utilità” al capo di gabinetto della Questura di Milano, Piero Ostuni, e per il reato di “prostituzione minorile”, come dice il nome, deve essere provato che l’utilizzatore finale fosse a conoscenza della minore età della prostituta Ruby. E i giudici di appello hanno ritenuto che non ci fossero tali elementi per condannare Berlusconi.
La Cassazione
Ieri la Cassazione. Confermata l’assoluzione. E Berlusconi improvvisamente non è più “puttaniere” (Pina Picierno, 28.09.2011), “caimano” (Roberto Speranza, 25.11.2013), “un essere riprovevole” (Corrado Augias, 07.02.2015). Scatenati Alessandro Sallusti e Maurizio Belpietro che, sui rispettivi fogli aziendali (Il Giornale e Libero), descrivono il processo come una “iniziativa scellerata, completamente falsa, un complotto ordito da magistrati e sostenuto da complici, o almeno utili idioti, nelle redazioni dei giornali nazionali ed esteri” (Sallusti) o di “un’indagine che non ha mai fine e che per gemmazione dà vita a nuove indagini” (Belpietro). Il solito Giuliano Ferrara parla di “pornogiornalismo”, Antonio Polito sul Corsera di “sconfitta della procura di Milano” e si scomoda addirittura Ezio Mauro che verga un editoriale su Repubblica in cui mostra comprensione per “un leader politico” pugnalato da “due accuse infamanti per chiunque insopportabili”.
Ma nessuno entra nel merito del processo. Tranne Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, che sia sul proprio giornale che in un’intervista al Tempo di Roma ribadisce la tesi già caldeggiata alla vigilia dell’appello: “Se nel frattempo non fosse cambiata la legge il Cavaliere sarebbe stato condannato” afferma Travaglio.
E perché? “il reato di concussione è stato spacchettato in due: la costrizione e l’induzione”. Cioè “quella per costrizione (violenza o minaccia) restava tale e quale; quella per induzione diventava un reato minore (induzione a dare o promettere denaro o altra utilità), con pene più basse e prescrizione più breve, ma soprattutto impossibile da dimostrare, perché richiede non solo un “indebito vantaggio” per l’induttore (l’ex concussore, cioè Berlusconi), ma anche per l’indotto (Ostuni)” spiega sul Fatto. “Il Tribunale– conclude Travaglio – aggirò l’ostacolo condannando Berlusconi per concussione per costrizione: per i primi giudici, la pressione esercitata dal premier su Ostuni era irresistibile. La Corte d’appello, confermati l’altroieri dalla Cassazione, ha invece considerato quelle telefonate resistibili, dunque rientranti nel nuovo reato di induzione. E quindi hanno dovuto assolvere”.