Rapita e poi decapitata. Il corpo di Aidé Nava González, politica messicana, è stato trovato abbandonato a Chilpancingo, capitale dello Stato messicano di Guerrero.
Aidé Nava Gonzalez
Era candidata come sindaco del Partido de la Revolución Democrática (PRD) nel comune di Ahuacuotzingo alle elezioni locali, che si svolgeranno il prossimo giugno. Suo marito, Francisco Ramírez Quiñonez, era stato sindaco della stessa cittadina ed era stato ucciso lo scorso 28 giugno da un gruppo di uomini armati. Nel frattempo, il figlio Francisco Quiñonez Nava è stato rapito nell’ottobre 2012 e finora non è stato ritrovato.
Secondo la stampa locale, la donna sarebbe stata “catturata durante una riunione politica, portata via e uccisa”. Inoltre, secondo alcuni media locali, pare che la donna sia stata decapitata, ma la notizia non è stata confermata. Il procuratore dello Stato di Guerrero Miguel Ángel Godínez non ha ancora rilasciato dichiarazioni sul caso, ma intanto l’omicidio di Nava González è stato rivendicato da Los Rojos, fazione del cartello della droga messicano Cártel del Golfo, e rivale di Los Guerreros Unidos.
Lo spettro di Iguala
Entrambi i gruppi operano nello Stato di Guerrero che, secondo i dati, è uno degli Stati più violenti del Paese messicano nonostante lo schieramento di un elevato numero delle forze di sicurezza al suo interno. Infatti, nel 2014 sono stati registrati oltre 1500 omicidi: circa 42 omicidi ogni 100’000 abitanti, 10 volte maggiore alla media dei 36 Paesi membri dell’OCSE.
Di recente, hanno avuto particolare eco la sparizione dei 43 studenti a Iguala de la Independencia, nello scorso settembre, e il ritrovamento di oltre 60 cadaveri presso un crematorio abbandonato ad Acapulco de Juárez nel mese di febbraio. A causa, appunto, alti livelli di violenza molto probabilmente potrebbero essere annullate le elezioni per rinnovare le istituzioni (governatori, sindaci, legislatori) dello Stato di Guerrero, fissate al prossimo giugno. Inoltre, già sono stati numerosi gli appelli a boicottare queste elezioni che rappresenterebbero, piuttosto, un segnale di presunta “normalità democratica”.