Ennesima strage a tinte religiose. Due moschee nella zona centrale di Sana’a, capitale dello Yemen sotto il controllo del movimento sciita Houthi, sono state attaccate da attentatori suicidi che si sono fatti esplodere durante la preghiera del venerdì. Il bilancio degli attentati è gravissimo: quasi 150 morti e centinaia di feriti. Altri due attentanti a Sa’dah, roccaforte degli sciiti, hanno fatto almeno altre 16 vittime.
La mano dell’Isis
Le esplosioni sono avvenute oggi all’ora di massima affluenza nelle moschee di Badr e al-Hashoosh quando almeno tre kamikaze si sono fatti esplodere fra centinaia di fedeli houthi, il movimento ribelle che controlla la capitale dopo aver rovesciato il governo sunnita. Lo Stato Islamico di Abu Bakr al Baghdadi ha annunciato lo scorso novembre di aver creato proprie cellule in Yemen e ha esplicitamente rivendicato di essere il mandante della strage odierna.
La rivendicazione è firmata da un gruppo affiliato jihadista, Wilayat al-Yemen. Già nelle scorse ore erano circolate rivendicazioni sul web di alcuni militanti vicini all’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi. Nel comunicato, diffuso su Twitter e intitolato “Rivendicazione dell’operazione di martirio in Yemen”, si legge che “i cinque cavalieri del martirio armati di cintura esplosiva”, ovvero i cinque kamikaze, hanno colpito “quattro covi degli houthi a Sana’a e uno a Saada”. Secondo l’Is, 80 houthi, tra i quali alcuni leader, sono morti nell’attacco. “Abbiamo raccolto le teste degli imam apostati (sciiti, ndr)”, conclude la nota. La Casa Bianca fa sapere tuttavia di non avere conferme per il momento sull’autenticità della rivendicazione.
Primo attacco contro i fedeli
Quello di oggi non è il primo attentato kamikaze negli ultimi mesi, ma il primo che ha preso di mira i fedeli: finora i kamikaze avevano attaccato sempre soldati regolari e caserme. L’instabilità politico-religiosa potrebbe lasciare ampi margini agli jihadisti, rischiando di trasformare anche lo Yemen in una roccaforte del terrorismo internazionale.