(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
“Chiudiamo il circolo vizioso dell’austerità”. La frase che Alexis Tsipras aveva pronunciato in campagna elettorale, divenuta il mantra del processo attorno al quale la sinistra movimentista greca si è federata fino a farne la prima forza politica del paese, è ancora un obiettivo realistico? Se sì, a quale prezzo? La rivoluzione di Tsipras, più che temperata dall’intenzione di collaborare con gli amici europei, si è forse fermata dopo l’accordo raggiunto con l’Eurogruppo?
L’accordo con l’Eurogruppo
Nei giorni successivi all’elezione il premier greco è partito per un vero e proprio tour delle cancellerie europee alla ricerca di possibili alleanze per convincere l’Unione Europea ad allentare i vincoli imposti su Atene.
Il viaggio di Tsipras non ha sortito rilevanti effetti, tanto che l’accordo raggiunto per il prolungamento del prestito è parso piuttosto una sconfitta, un semplice palliativo, il prolungamento dell’agonia. E nei prossimi mesi il governo greco dovrà anche svolgere gli ormai famosi compiti a casa rispettando gli accordi presi coi creditori, cioè mettendo sul tavolo riforme credibili. Dal pre-Tsipras all’era Tsipras sembra cambiato veramente poco.
L’eventuale piano B di Atene
Esiste un piano B a questa che sembra un’altra mission impossibile? Quella sollevata da Atene in sede europea è soprattutto una questione di soldi. La Grecia ha bisogno di credito e se a fornirglielo dovesse essere la Russia di Putin probabilmente non farebbe troppa differenza.
E qui, ovviamente, emergono delle considerazioni sull’affidabilità di Mosca, sull’opportunità che l’Unione Europea continui a mostrare il pugno duro ad Atene fino a spingerla tra le braccia di quello che al momento è un paese nemico per Bruxelles.
Quali potrebbero essere le ragioni per cui a Tsipras converrebbe trovare riparo presso Putin? È piuttosto evidente, da anni a dire il vero, che non vi è nemmeno la parvenza di una politica estera comune per i paesi dell’Unione Europea. La crisi ucraina ne è ulteriore riprova e proprio in questo scenario Atene ha ribadito il no ad ulteriori sanzioni verso Mosca.
Contemporaneamente, in occasione dell’incontro di febbraio con il ministero degli Esteri greco Kotzias, l’omologo russo Lavrov ha mostrato disponibilità a sostenere la Grecia se questa dovesse richiederlo. Si tratta di una ‘opa’ neanche troppo velata.
Un gioco a somma zero?
Il flirt sull’asse Atene-Mosca non sarebbe un’infatuazione improvvisa. Per alcuni osservatori è addirittura il portato di un asse di cristianesimo ortodosso mai totalmente spezzato. Più verosimilmente dietro questo avvicinamento vi sarebbe la necessità di proteggere degli interessi economici reciproci.
L’export greco ha patito fortemente le sanzioni imposte alla Russia dall’Unione Europea e tra gli alleati di governo di Tsipras e alcuni magnati russi esistono comprovati rapporti di ‘amicizia’. Nonostante il nuovo governo greco abbia poi confermato il sostegno al gasdotto TAP, che passando dalla Grecia porterebbe in Italia il gas a zero, un asse più forte con Mosca potrebbe perfino mettere a rischio questo progetto.
Il paradosso, in questa situazione, è che Atene può sì utilizzare una sorta di moral suasion giocando la carta dell’avvicinamento a Mosca, lo spauracchio per Bruxelles, ma non sa quanto credibile sia la minaccia che essa stessa mette in atto e non sa nemmeno quanto lungo sarebbe il guinzaglio con cui si legherebbe a Putin.
Per l’UE ciò che è certo è che, ancora una volta, gli errori strategici e le disfunzioni interne danno la possibilità ad una potenza esterna, di colpire duro il disegno europeo e , potenzialmente, farlo cadere. In questa fase storica la Russia è diventata come un porto di libertà per i movimenti eurocritici al governo e all’opposizione, e su questo, che è soprattutto un effetto delle politiche attuate, l’Unione dovrebbe seriamente interrogarsi.
Francesco Angelone
(Mediterranean Affairs – Editorial Board)