Nella campagna elettorale nigeriana è entrato di tutto: ovviamente Boko Haram, ma anche la corruzione, l’economia e la politica. Un tema che questa volta è rimasto defilato, sotto traccia è l’inquinamento spaventoso della regione petrolifera, cioè il Delta del Niger.
La questione del Delta
Nella scorsa campagna elettorale, quella vinta da Goodluck Jonathan, era stato uno dei temi forti. Ai tempi c’era ancora il Mend, Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (non che ora sia scomparso, ma è molto meno attivo), con i suoi sequestri e le sue spettacolari azioni armate a catalizzare l’attenzione. Oggi invece c’è Boko Haram.
Ma al di là di ciò che la politica fa divenire di attualità e fa giocare sul tavolo delle elezioni e del consenso, la questione inquinamento del Delta rimane in tutta la sua gravità.
C’è un recentissimo rapporto di Amnesty International che descrive una situazione drammatica, da violazione dei diritti umani, appunto. Nel Delta, dice questo rapporto, le fuoriuscite di petrolio dagli oleodotti che attraversano il territorio in un surreale groviglio di tubi, sono state imponenti anche nel 2014. Solo la Shell e la nostra compagnia di bandiera, l’Eni, hanno ammesso un totale di 550 fuoriuscite.
Perdite operative standard
Eni e Shell hanno ammesso la perdita di trenta mila barili di greggio, equivalenti a cinque milioni di litri di petrolio che si sono riversati, evidentemente, nelle acque del Delta o sulla terra ferma, con il risultato che si può immaginare sulle foreste di mangrovie e sull’agricoltura e sulla pesca e, di conseguenza, sulla vita dei circa venti milioni di abitanti del Delta che, tra l’altro, pur galleggiando sul petrolio, sono le popolazioni più povere di tutta la Nigeria e di tutta l’Africa Occidentale.
In qualsiasi paese un riversamento di greggio di queste proporzioni farebbe gridare all’emergenza nazionale. In Nigeria invece, per l’industria del petrolio nazionale e per le compagnie straniere si tratta di perdite operative standard.
In ogni caso le compagnie hanno dichiarato, anche questa volta, che le fuoriuscite sono da addebitare a sabotaggi della popolazione locale che vuole impadronirsi di greggio per venderlo di contrabbando. Questa spiegazione però, contestata dalle comunità locali e da molte ONG, si è rivelata sbagliata.
Nel novembre 2014 una azione legale intrapresa in Gran Bretagna ha costretto Shell ad ammettere di avere sottostimato la dimensione di due grandi fuoriuscite di greggio nel 2008. Per questo ha dovuto pagare 55 milioni di sterline. Anche in quel caso la compagnia aveva addebitato il disastro all’incuria della popolazione locale.