Populismo e finanza: la contraddizione d’Occidente
Un recente sondaggio ungherese segnala un avanzamento da parte del movimento Jobbik, forza politica guidata da Gabor Vona che si pone all’estrema destra del sistema politico magiaro. Una potenziale affermazione che si colloca in un ambito già ad alto tasso di populismo, col primo ministro Viktor Orban e la sua formazione Fidesz. Uno dei cardini (non tanto numericamente, ma politicamente) del Partito Popolare Europeo che però non ha esitato ad inserire in Ungheria degli elementi di “democrazia formale” (ma oggi si preferisce utilizzare il termine “democratura”).
L’estrema destra avanza in tutta Europa
Un dato di questo tipo è la matrice che coinvolge gran parte del continente europeo, l’area geopolitica globale che più ha difficoltà ad uscire dalle sacche dalla crisi: dal Front National in Francia, al Pvv di Wilders in Olanda, passando per la Lega Nord in Italia ed Alba Dorata in Grecia (di gran lunga il movimento politico più di destra nei parlamenti di tutta Europa) l’estrema destra avanza in Europa. Ma nel caso ungherese un potenziamento della destra balza di più agli occhi in quanto un governo populista non riesce apparentemente ad assecondare la stessa spinta popolare che lo ha spinto a vincere più volte le elezioni politiche a Budapest.
Una dinamica tipica, ma accentuata in Ungheria. E che, come accade il più delle volte in Europa, nasconde una contraddizione di fondo. Perché se con la fine del sistema dei blocchi contrapposti e con lo smembramento dell’impero sovietico è venuta meno la divisione tra il cosiddetto “primo” e “secondo mondo”, il mercato e la globalizzazione son riusciti a raggiungere lidi e una copertura fino qualche decennio fa inimmaginabile. Questo ha portato a nuove sfide per la politica, che per la prima volta si è trovata dinnanzi a dinamiche globali. A cui non possono non corrispondere risposte globali (ovviamente non rappresentate da organismi quali le Nazioni Unite…).
Da qui il potere della finanza che in certi frangenti pare avere la meglio sulle scelta politiche, e non soltanto per la strutturale interdipendenza dello strumento finanziario in se. Da qui il potere di certe compagnie mondiali, che spesso risultano contare di più rispetto a qualche governo di uno stato nazionale.
Finanza contro politica
In una situazione di crisi e di alto indebitamento, una dinamica di questo tipo non può essere non immune da rischi. Perché parte della popolazione può essere indotta a pensare che se si vive una situazione di povertà e disagio è a causa di questo strapotere del mercato globale ed interdipendente, che tarpa le ali agli stati ed alle proprie politiche. Da qui la tendenza a chiudersi a riccio, da qui la critica al sistema europeo (visto non legittimato da un voto popolare, alla stregua di qualche compagnia commerciale od economica di tipo privato) e i desideri d’autarchia monetaria.
Una situazione che spinge al paradosso secondo cui molto spesso le ondate di populismo (non tanto nei soggetti che se fanno portavoce, ma nella base) che coinvolgono l’Europa possono essere il principale stimolo ed invitato al primato della politica. Contro meccanismi non legittimi ed a tratti apolitici. Una vera politica riformista dovrebbe cogliere questo elemento di evidente contraddizione, per veicolare il messaggio che viene dal basso. E saperlo spostare dallo strepito della protesta e del disagio all’opportunità di una speranza e di una soluzione costruttiva.