Tutto come previsto. La direzione del Pd ha approvato la relazione del segretario-premier Matteo Renzi sulla legge elettorale. Nessuna modifica all’Italicum, quindi, su cui a questo punto si pronuncerà la Camera il prossimo 27 aprile con la votazione finale. La vicenda ha amplificato però la spaccatura all’interno del partito, in quanto in direzione tutte le minoranza si sono astenute. Entro maggio, quindi, verrà posta la parola fine e portare a casa la riforma della legge elettorale.
L’intervento di Renzi
“Io oggi chiedo un voto su questa riforma come ratifica di quello che abbiamo fatto e come mandato per i prossimi mesi. Chiedo un voto per la qualità e l’efficacia dei governi che verranno ma anche per la dignità di questo governo”. E’ con queste parole che Matteo Renzi apre il suo intervento in direzione.
“Il modello di riforme che proponiamo – continua il premier – non vede la dittatura o la ‘democratura’, piuttosto è un modello di democrazia che decide. Il punto chiave è il ballottaggio, perché consente di avere un vincitore o di non averlo. Sulla legge elettorale ci giochiamo la fiducia. Ho letto qualcuno che ha detto che non si può mettere la fiducia sulla legge elettorale. Ne parleremo tra di noi. Permettetemi ora di mettere la fiducia al nostro interno. Considero un clamoroso errore riaprire la discussione al Senato, è un azzardo che ci espone a molti problemi, non si spiega politicamente alla Camera, riapre un accordo di coalizione già chiuso e, soprattutto, dà il senso di una politica come un grandissimo gioco dell’Oca”.
Attacchi a Berlusconi, Grillo e Salvini
Arriva anche la frecciata a Enrico Letta, suo predecessore a Palazzo Chigi: “Non c’è stato qualcuno che ha scelto di staccare la spina al governo precedente. Il governo precedente non riusciva ad andare avanti sul percorso delle riforme e per questo abbiamo votato in direzione. Il blocco e l’impantanamento del governo e della legislatura erano rappresentati dalla legge elettorale”.
Vengono riservati attacchi anche ai leader degli altri partiti, a partire da Silvio Berlusconi: “Mi limito a segnalare che la destra francese fa scelte diverse da Forza Italia: non insegue Marine Le Pen, sceglie di stare nell’arco repubblicano e poi – ahimé – vince anche. Ma vince la destra, non l’estrema destra”. E su Beppe Grillo: “Non è più uno spauracchio. Un anno e mezzo fa iniziavamo le riunioni parlando di lui, eravamo terrorizzati. Ora non è più uno spauracchio, ma uno sciacallo”.
Nel suo intervento, un passaggio è dedicato anche a Matteo Salvini e Maurizio Landini: “Smettetela di lamentarvi di Salvini in tv: più va in tv e più gli italiani lo conoscono”. Si tratta, per il premier, di “personaggi che sono soprammobili da talk televisivo. Quando vedo Landini in una trasmissione televisiva mostrare di non conoscere, da sindacalista, la legge di Stabilità, mi rendo conto che la politica diventa una rappresentazione mediatica che non ha alcun rapporto con la realtà”.
La sfida di Civati
A far capire la delicatezza della situazione sono le parole di Pippo Civati, dissidente ormai di lungo corso, che si rivolge alle minoranze dem, insofferenti dinanzi all’ennesimo strappo portato avanti dal premier Renzi, che ha chiesto la calendarizzazione della legge elettorale alla Camera per il 27 aprile, prima delle elezioni amministrative di maggio. Un aut aut che evidentemente non è piaciuto.
Due le proposte di Civati. La prima di vera e propria protesta: “Non partecipiamo al voto di oggi in direzione. La trasformazione della direzione in un plebiscito e aut aut non aiuta affatto e di per sé costituisce una risposta definitiva alle richieste di confronto venute da più parti. E facciamo le proposte in aula”. Ma è lo stesso Civati a proporre l’alternativa, volta a compattare ulteriormente i dissidenti: “Facciamo un unico intervento che ci rappresenti e definiamo una volta per tutte il campo di chi è in minoranza, perché le ambiguità di questi mesi non hanno fatto altro che creare confusione”.
Italicum, dissidenti sul piede di guerra
La posizione di Area Riformista è, tra le minoranze, quella più possibilista: “Se c’è un margine per trattare, utilizziamolo. Perché ritengo che se in questo passaggio una forzatura dovesse dividere il Pd, si restringe troppo il campo delle riforme. Continuerò a lavorare in queste ore, mettendo a disposizione la mia funzione per trovare un’intesa” ha dichiarato il leader Roberto Speranza.
Più dure le dichiarazioni di Nico Stumpo: “Così com’è l’Italicum non lo voteremo. Va modificato e faremo delle proposte concrete di lavoro sulle preferenze e gli apparentamenti al ballottaggio. L’apertura alle primarie per scegliere i capolista? Bene, ma non basta. Il segretario ha il compito di tenere unito il partito”.
A Renzi ha replicato anche Gianni Cuperlo: “Non parteciperò al voto finale, come anche altri: non mi arrendo all’idea che su un tema così decisivo la prima fondamentale unità non si possa cercare all’interno della nostra comunità”, ha detto Gianni Cuperlo, leader di Sinistra Dem che ha proposto di modificare i punti dei capilista bloccati e del non apparentamento al ballottaggio.
Tra le repliche al premier anche quella del bersaniano Alfredo D’Attorre: “Un voto di fiducia sulla legge segnerebbe un vulnus gravissimo dal punto di vista politico e parlamentare, e quello sì che sarebbe un ricatto al Parlamento”, ha detto d’Attorre replicando a Renzi che, citando una sua intervista, aveva parlato di “ricatto del voto segreto”.
Intervento critico anche quello di Stefano Fassina: “Negli interventi di alcuni di noi, evitiamo che il Pd abbia un tasso di conformismo superiore al partito comunista nord-coreano”.. “Non mi pare- aggiunge- che in quindici mesi di segreteria di Matteo Renzi, noi abbiamo mai ascoltato un renziano della prima, della seconda o dell’ultima ora, che abbia mai espresso un dubbio sulle posizioni del segretario”. Senza correttivi alla legge elettorale e alle riforme istituzionali, ha aggiunto, “diventiamo un presidenzialismo di fatto, senza contrappesi”.