La direzione Pd di ieri ha blindato l’Italicum (dall’8 aprile inizierà l’esame della riforma mentre il 27 aprile ci sarà il voto finale della Camera), avallando la linea Renzi con la decisione di non apportare alcuna modifica al testo della legge elettorale. Dopo un acceso confronto, la minoranza del partito ha deciso di non prendere parte al voto finale. E proprio dai dissidenti dem oggi piovono i commenti più infuocati, a riprova di una frattura che – a detta della minoranza – sembrerebbe ormai irreparabile. Pippo Civati, che ieri ha invitato la minoranza dem a compattarsi dietro un’unica proposta, alternativa all’Italicum, oggi in pratica dice che la Ditta non esiste più (“non a caso ieri non l’ha nominata nessuno”): “Rischiamo di perdere un pezzo del Pd – afferma l’ex candidato alla segreteria – Ma io credo ancora in una soluzione”.
Italicum, Civati: “Una parte di elettori non ci segue più”
“Io non so se chiamarla scissione – aggiunge Civati – So che adesso tutti quelli che si oppongono al segretario hanno capito che i margini della trattativa sono nulli. Chiamiamola rottura, chiamiamola spaccatura. Comunque il Pd è più diviso di ieri. Lentamente si vede che una parte dei nostri elettori non ci segue più. Forse è il 10 per cento, forse il 5. Ma è una massa, piccola o grande che sia, in fuga. Per loro la scissione è già cominciata. Hanno capito prima di noi parlamentari che non si può dialogare con Renzi”. In un post pubblicato oggi dal suo blog sull’Espresso, Alessandro Gilioli ha ironizzato sulle “reiterate minacce di scissione” della minoranza Pd, “che non vengono più quotate nemmeno dai bookmaker più spregiudicati di Londra”. Salvo cataclismi, infatti, nulla fa presagire che lo strappo possa consumarsi a breve. O possa consumarsi, in generale.
A Civati fa eco Alfredo D’Attorre: “Non c’è più il Pd che abbiamo costruito. Di conseguenza non c’è più la Ditta. Renzi non ha nemmeno replicato al dibattito in direzione. Significa che ha già deciso ed è tutto finto, roba buona solo per lo show in streaming”. “Se io devo consentire una cattiva riforma elettorale e una cattiva riforma costituzionale – spiega D’Attorre ad Omnibus su La7 – meglio andare al voto con il sistema proporzionale”, ovvero col Consultellum. “Renzi – aggiunge – verrà a ricattare il gruppo parlamentare dicendo ‘o mi approvate l’Italicum senza modifiche e si va al voto’: è una minaccia con una pistola ad acqua perché chi ha tutto da perdere con il Consultellum è Renzi che non tornerebbe mai più a Palazzo Chigi e si troverebbe un Parlamento eletto interamente con le preferenze e dove il 99% dei renziani non rimetterebbe piede in Parlamento”.
Giachetti: “Se salta l’Italicum, cade il governo”
Roberto Giachetti, che ieri in direzione si è reso protagonista di uno scoppiettante intervento (ne ha avute per tutti: da Bindi a Fassina, da Boccia a D’Alema), oggi su Repubblica definisce la minoranza dem “gli Unti del Signore”, “quelli che possono fare ciò che agli altri non è concesso”. Se l’Italicum salta – sottolinea Giachetti – “è chiaro che c’è un problema di fiducia politica. Ed è chiaro che è in gioco il governo”. Roberto Speranza, capogruppo Pd alla Camera, “ha messo a disposizione il mandato. Se vota contro, c’è un problema. Però Roberto è corretto e coerente – prosegue Giachetti – Mi auguro che resti capogruppo, convincendo i deputati a restare uniti. Se invece ognuno si comporta come gli pare, si rompe la comunità”.
Bindi: “Senza modifiche non voterò l’Italicum”
Sempre su Repubblica, Rosy Bindi dichiara: “Senza modifiche non voterò l’Italicum. E se venisse messa la fiducia, cosa che ritengo incostituzionale, non parteciperei neppure a quel voto”. “Non so se si può usare la parola spaccatura – spiega Bindi – ma le posizioni in direzione sono state chiare e nette. Renzi ha posto un aut aut sull’Italicum che la prima volta fu scritto sotto dettatura del Patto del Nazareno. Poi ce lo siamo trovato modificato, e non in qualche dettaglio. Ora che siamo rimasti solo noi a votarlo, peraltro in un perimetro ristretto, che non è neppure quello di tutta la maggioranza di governo – sottolinea – è davvero incomprensibile che non si cerchi l’unità del Pd”.
“A me – spiega Bindi – sta a cuore che il premio di maggioranza non sia solo alla lista ma sia alla coalizione” perché “in questo momento politico dobbiamo fare una legge elettorale che aiuti la ricostituzione dei campi politici alternativi tra di loro. Con il premio alla coalizione questo è possibile, sia per il centrodestra che per il centrosinistra”. “Se così non sarà – prosegue – andremo verso il partito unico della nazione, che avrà nella sola Camera una maggioranza ‘pigliatutto’ di 340 deputati e avrà intorno 4 o 5 mini partiti in lotta tra di loro. È la fine del bipolarismo nel nostro paese”. Insomma, i tempi (evocati ieri da Giachetti) in cui la senatrice dem sosteneva il referendum Guzzetta, che attribuiva il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, sembrano ormai lontani anni luce.