Marco Minniti: “Sei mesi per salvare la Libia”
È Marco Minniti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, a lanciare l’allarme: abbiamo sei mesi per salvare la Libia, evitando così una nuova Somalia davanti alla porta di casa, “si deve capire che quella libica è una partita strategica decisiva per la sicurezza del Mediterraneo e dell’Europa” avverte il senatore Pd. Intervistato da Claudio Gatti del Sole24Ore, Minniti si spoglia della solita riservatezza, occligata vista la posizione ricoperta, e si dichiara “molto preoccupato” per quello che potrebbe succedere nei pressi di Tripoli, “ogni mattina inizio la mia giornata pensando alla Libia” si legge nell’intervista.
Mentre tutte le energie diplomatiche sono concentrate, d’altronde non potrebbe essere altrimenti vista l’escalation degli ultimi tempi, sulla questione ucraina; nel disinteresse dei nostri alleati, in Libia si sta giocando la partita geopolitica più importante per il nostro paese e per l’Europa intera: una guerra civile in Ucraina, insieme al collasso del sistema produttivo del petrolio e del gas libico, potrebbe solo accentuare una possibile drammatica crisi per il nostro paese. La Libia oltre a essere il cuore dei nostri interessi energetici e anche il campo di un’altra importante partita geopolitica, quella contro il movimento jihadista; a preoccupare Minniti anche la spinta demografica extracomunitaria che soprattutto attraverso la Libia si muove verso le coste italiane – il 93% dell’immigrazione clandestina che si riversa in Italia passa dalla Libia – con costi umani altissimi.
“Lo stallo politico-istituzionale e quello dell’industria energetica stanno spingendo il Paese verso uno stato di frantumazione politica e sociale” – riferisce Minniti – alludendo al fatto che, l’offensiva delle milizie islamiche libiche, sta determinando la “caduta libera” della produzione giornaliera del petrolio (meno di un sesto di quella prevista); tra gas e greggio: dai 4 miliardi di euro al mese di ricavi energetici del primo semestre 2013, si è scesi ai 200 milioni di oggi.
Quello che resta dello Stato libico – le dimissioni del premier Al-Thani devono aver rappresentato una “sveglia” – sta finendo i fondi necessari a sostenere una società “storicamente molto assisitita” e questo sta mettendo sempre più a repentaglio la tenuta territoriale, rafforzando le tradizionali spinte separatiste della Cirenaica, oltre a quelle dei numerosi clan, delle milizie e delle tribù presenti in Libia, per cui “occorre assolutamente evitare che la situazione finisca fuori controllo, altrimenti scatterà un gigantesco effetto domino su tutti e tre fronti – quello energetico, quello della sicurezza dello Stato e quello dell’immigrazione”.
Esclude un intervento di “peace enforcing”; Minniti, piuttosto, si dichiara favorevole a un intervento della comunità internazionale che permetta all’Italia di giocare un ruolo importante “nominando un inviato di altissimo rango che riconosca le istanze federaliste della Cirenaica e che possa avviare un processo di riconciliazione nazionale”; una volta fatto questo, Italia ed Europa, potranno guidare la riattivazione del settore energetico e l’assorbimento delle milizie nelle forze di sicurezza nazionale in modo da innescare una spirale virtuosa che, consentendogli di entrare in possesso delle risorse necessarie, permetterà alle autorità centrali del paese di condurre felicemente l’integrazione sociale e militare.