La legge non ammette ignoranza. Almeno fino a un certo punto. O meglio, dipende quali sono i soggetti che si dimostrano ignoranti. Sono queste le conclusioni a cui si arriva leggendo la sentenza del Tribunale penale di Aosta – riportata dal Corriere della Sera – che ha assolto 24 consiglieri regionali in rappresentanza di tutti i partiti, salvandoli anche dalla restituzione di una somma pari a 607.000 euro.
L’accusa era quella tipica di questi casi: peculato. In pratica, i soldi percepiti come rimborsi elettorali, invece di essere utilizzati per attività politica, venivano impiegati per spese di natura privata. E che spese. Cene di lusso a base di mazzancolle fresche fatte arrivare per l’occasione, carne di capra, motorini, gioielli di lusso, ristrutturazioni di casa. Di tutto e di più. Tutto a spese del contribuente.
Manca il dolo
Come i 24 consiglieri si siano salvati da una condanna sicura, va da sé. Dando per certi i fatti contestati dalla Procura, il Tribunale di primo grado ha assolto gli imputati perché non consapevoli di violare, con la loro condotta spendacciona, le leggi dello Stato. Insomma, essendo il reato composto da elemento oggettivo (fatto) ed elemento soggettivo (dolo), i giudici hanno ritenuto assente quest’ultimo e pertanto hanno chiarito come il reato in oggetto non potesse essersi concretizzato.
Giuridicamente, non fa una piega. Basta sfogliare qualunque manuale di diritto penale per rendersi conto che, senza dolo, un reato non esiste. Qualche dubbio, tuttavia, sorge spontaneo: davvero i consiglieri regionali non sapevano che, comprando con soldi pubblici destinati all’attività politica un motorino, avrebbero infranto la legge? E con quali modalità il tribunale ha desunto l’assenza del dolo?
La condotta, ancorché penalmente irrilevante, getta qualche ombra sulle modalità con le quali viene gestita la regione valdostana. Soprattutto, su chi la gestisce: persone incapaci di intendere e di volere. Lo dice una sentenza.