Oltre 40 mila partecipanti, 7 mila dei quali si erano prenotati online, 128 relatori e 102 manifestazioni: sono questi i numeri della quarta edizione di Biennale Democrazia, tenutasi tra il 25 e il 29 marzo 2015 a Torino. Nei numerosi appuntamenti della rassegna presieduta da Gustavo Zagrebelsky sono intervenuti molti nomi noti. Per citarne alcuni: Massimo Cacciari, Mario Calabresi, Luciano Canfora, Tullio De Mauro, Umberto Galimberti, Massimo Gramellini, Claudio Magris, Paolo Mieli, Federico Rampini, Massimo Recalcati, Stefano Rodotà e il cardinale Angelo Scola.
La scelta del tema “passaggi“, declinabile in tutte le dimensioni spazio-temporali – incardinate su quattro assi tematici: transiti e barriere, eredità e inizi, velocità e lentezza, possibilità – ha permesso ampia libertà ai relatori che hanno potuto affrontare questioni eterogenee sotto svariate angolazioni. Indagando molte sfaccettature dell’attuale “epoca di gestazione e di trapasso”, la rassegna ha voluto fornire uno sguardo complessivo sul presente storico, con tutte le problematiche scientifiche, economiche e giuridiche connesse alla globalizzazione.
Alcuni degli appuntamenti erano incentrati prevalentemente sui percorsi personali dell’individuo – dall’antropologia dei riti di passaggio al fine vita indagato in chiave filosofica – mentre altri si focalizzavano su fenomeni di portata collettiva che hanno investito gli scenari storico-politici.
Nell’impossibilità di prendere parte a tutte le manifestazioni, alcune delle quali svoltesi in contemporanea, Termometro Politico ha avuto modo di seguirne quattro da vicino, per le quali cercheremo di offrirvi una sintesi.
Biennale Democrazia 2015: carteggio sulla guerra tra Einstein e Freud
Venerdì 27 marzo, nella sala conferenze del Museo Diffuso della Resistenza, abbiamo assistito alla rievocazione dello scambio epistolare tra Einstein e Freud. Le letture, a cura dell’attore teatrale Gianni Bissaca, sono state accompagnate dal contrabbassista Stefano Risso, che ha sottolineato, tra riff jazzati sperimentali ed echi di melodie klezmer, i momenti più espressivi. Albert Einstein nel 1932 ricevette dalla Società delle Nazioni la proposta di invitare una persona di suo gradimento per uno scambio di opinioni su un problema qualsiasi da lui scelto.
Lo scienziato si rivolse a Sigmund Freud – e alla sua “vasta conoscenza della vita istintiva umana” – per cercare una risposta al quesito che riteneva il più urgente: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?” Einstein lanciò qualche proposta, come quella di un tribunale internazionale con autorità sovrannazionale che possa “imporre con la forza di sottomettersi all’esecuzione delle sue sentenze”, tuttavia chiese a Freud maggiori delucidazioni sulla mente umana al fine di “indicare la strada a nuovi e validissimi modi d’azione”, speranzoso che si possano “scoprire i mezzi e le maniere mediante i quali rendere impossibili tutti i conflitti armati“. Dal canto suo Freud, rispondendo allo scienziato, dopo aver analizzato il nesso tra diritto e violenza, entrò nei meccanismi che possono portare allo scatenamento delle guerre, in quanto tutti i comportamenti umani scaturirebbero dall’interazione delle pulsioni di amore (eros) e di morte (thanatos).
Quest’ultima, se rivolta all’esterno, nell’intento di conservare la propria vita ne distrugge una estranea, come accade durante i conflitti. Argomentando puntualmente, il padre della psicoanalisi giunge alla conclusione che non esisterebbe alcuna “speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini”; sarebbe utopistico pensare che l’umanità possa sottomettersi “alla dittatura della ragione”, mentre altre vie forse più praticabili non sarebbero in grado di garantire alcun successo in tempi brevi. Freud tuttavia lasciò aperto un varco: l’influsso del processo di civilizzazione in corso, che con il “rafforzamento dell’intelletto” e “l’interiorizzazione dell’aggressività” sposta le mete pulsionali, potrebbe porre fine alle guerre in in prossimo avvenire.
Al termine della lettura, lo storico Claudio Vercelli e lo psiconalista Giuseppe D’Agostino si sono confrontati ibridando i due campi di studio per riflettere sul tema della guerra, con particolare attenzione alla continuità che intercorre tra i due conflitti mondiali. Il secondo, infatti, sarebbe stato originato anche dallo spirito di rivalsa nei confronti della conclusione del primo, con quei trattati percepiti dai padri come ingiusti, ma spesso – come nel “mito degli Atridi” – le cause risultavano ignote ai figli chiamati al fronte, che però spesso nel conflitto scorgevano le opportunità di mobilità sociale.
Biennale Democrazia 2015: Colin Crouch e Elena Granaglia sui confini del mercato
Il politologo Colin Crouch – ideatore del concetto di “post-democrazia” – e la professoressa Elena Granaglia si sono confrontati sul rapporto tra sfera politica e quella economica nel dialogo tenutosi la mattina del 28 marzo presso l’Aula Magna Cavallerizza Reale. A coordinare l’incontro vi era Nicolò Fraccaroli di Rethinking Economics Italia, associazione che promuove il pluralismo teorico, metodologico e interdisciplinare all’interno delle aule universitarie di economia.
Elena Granaglia ha provato a smontare l’idea di un mercato in grado di autoregolamentarsi nell’incontro armonico tra domanda e offerta; in realtà si tratta pur sempre di uno scontro tra poteri regolato da una costruzione politica e le numerose “esternalità” di cui si parla in teoria altro non sono che la possibilità di scaricare il proprio potere su soggetti terzi. Rifacendosi agli studi di Luigi Ferrajoli, Bernard E. Harcourt, Michael Sandel, Joshua K. Hausman e Branko Milanović, la docente di Scienza delle Finanze ha affermato che, anche nell’ipotesi della migliore regolamentazione possibile dei mercati, i valori da essi espressi sarebbero comunque parziali e tenderebbero a corrompere l’ethos pubblico preesistente; nella remunerazione dei meriti personali dell’agente economico, inoltre, molto è aleatorio.
Di qui l’importanza del coniugare economia ed etica, in particolare nell’ambito della giustizia distributiva, sovente non indagata dagli economisti puri. In realtà, già a partire dalla definizione di alcuni termini quali “povertà” e “disoccupazione volontaria” entra in gioco una dimensione normativa che rimanda all’esigenza di far dialogare l’analisi economica con altri campi: filosofia, storia e psicologia in primis. Ecco dunque la necessità di una “riforma dell’istruzione economica” invocata anche da Crouch: se la specializzazione ha portato importanti contributi al progresso scientifico, la perdita dei legami tra diversi piani rischia invece di arrecare un arretramento; il politologo ha denunciato l’ostracismo nei confronti di coloro che provano a lavorare in modo interdisciplinare o a sfidare l’ortodossia del pensiero economico dominante. La professoressa Granaglia si è poi soffermata sull’analisi critica della teoria del trickle down, secondo la quale l’aumentare dei redditi dei più elevati porterebbe benefici anche a quelli inferiori, asserzione che non trova forti conferme empiriche.
I benefici non sarebbero neppure nell’ambito delle possibilità e, osservando il grafico “del Grande Gatsby”, diseguaglianza reddituale e diseguaglianza intergenerazionale sarebbero correlate. Inoltre sperequazioni forti contribuiscono al rincaro di prezzi di beni fondamentali – come l’istruzione – e alla segmentazione territoriale tra quartieri ricchi con servizi migliori e quartieri disagiati con servizi di qualità sempre più scadente. Valori democratici e valori di mercato si possono incontrare? Questo l’interrogativo posto da Fraccaroli a Colin Crouch, il quale ha risposto rimarcando l’urgenza di ridefinire il rapporto tra Stato e mercato, cosa alquanto difficile per il pensiero mainstream neoliberista.
Oggi assistiamo ad una mercatizzazione del pubblico, ad esempio imponendo “memorandum” per la soppressione dello stato sociale in nome del mercato o proponendo sempre nuovi indebitamenti per risollevare i consumi. “Quando facciamo i mercati facciamo danni e tra le cose distrutte ce ne sono di importanti” – afferma Crouch – “e una certa convivenza tra democrazia e capitalismo è possibile solo accettando questa affermazione, come ha dimostrato il compromesso nei paesi scandinavi”. Il politologo ha poi evidenziato una spirale perversa tra diseguaglianza politica e diseguaglianza economica in un contesto che si avvia “verso la post-democrazia”, con gruppi economici che, controllando i partiti, possono comprare fette enormi di potere politico in grado di accrescere le loro ricchezze.
Biennale Democrazia 2015: mercati e libero scambio
Le implicazioni del Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP), da tempo in discussione nelle sedi comunitarie, sono state oggetto del dialogo tra Gianmarco Ottaviano e Mario Telò tenutosi sabato pomeriggio presso la Sala Congressi di Intesa Sanpaolo. Il professor Telò, politologo, è andato all’origine delle impostazioni che hanno dato vita al mercato comune europeo, dal primo scontro tra teorie protezionistiche e teorie liberiste, alla contrapposizione tra chi – come il Regno Unito – avrebbe preferito una zona di libero scambio e chi invece – rifacendosi a Jean Monnet – voleva un mercato comune con istituzioni forti, ala che effettivamente ha prevalso. Posta tale distinzione fondamentale tra libero scambio e mercato unico, il trattato TTIP ora in discussione si colloca in una dimensione più ampia, quella dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e l’ambizioso obiettivo del Doha Developement Round lanciato nel 2001 per liberalizzare il commercio mondiale.
Eccetto un minimo “Accordo di Bali”, tuttavia, questi negoziati non riuscirono ad andare in porto e proprio nell’impossibilità di giungere ad un accordo si pensò al TTIP, una “seconda opzione” maggiormente praticabile. Si tratta però di qualcosa che va oltre una zona di libero scambio, poiché tra gli obiettivi prefissati vi sono l’apertura degli USA alle imprese dell’UE, la riduzione degli oneri amministrativi per le imprese esportatrici e soprattutto la definizione di nuove regole in ambito commerciale. Questo accordo fa sorgere alcune perplessità, innanzitutto perché contribuirebbe ad un’ulteriore regionalizzazione del mercato globale, mentre il WTO – che da oltre dieci anni include anche la Cina – vorrebbe regolare questo tipo di rapporti su scala globale.
Entrambi i relatori hanno convenuto sul fatto che in Italia – complici i media, ma anche i cittadini che non si informano, pur avendo i mezzi informatici per farlo – il dibattito sul TTIP sia pressoché nullo; al contempo hanno notato la lentezza del negoziato, attualmente si è ancora alle prime fasi, sebbene l’approvazione fosse prevista per il 2014. Il professor Telò, rispondendo ad alcuni interventi del pubblico, ha segnalato che una possibile posizione di convergenza per la conclusione del TTIP potrebbe essere quella della Germania che, pur essendo favorevole al libero scambio, chiede autonomia in politica estera e si mostra contraria a un arbitrato sovranazionale per infliggere sanzioni agli Stati meno accondiscendenti nei confronti delle multinazionali.
Biennale Democrazia 2015: la transizione tra storia e politica
Domenica 29 marzo si sono confrontati all’Accademia delle Scienze i professori di storia contemporanea Guido Crainz e Paolo Pombeni, coordinati da Pier Paolo Portinaro.
L’intervento del professor Pombeni, con un taglio piuttosto weberiano, si è focalizzato sulla presente crisi dell’identità occidentale, tradizionalmente costituita dalla centralità dell’individuo – con la responsabilizzazione del singolo avvenuta con il pensiero cristiano, a partire da Agostino – dalla libertà “creativa” nella sfera economica e dallo stato di diritto. Tutti questi elementi sono entrati simultaneamente in difficoltà per svariate ragioni, che vanno dalla delegittimazione del processo democratico alla concentrazione delle ricchezze nelle mani di entità impersonali quali i “fondi sovrani”, che espropriano – non solo semanticamente – la sovranità dell’individuo.
Alcune transizioni sono difficilmente percepibili, altre molto di più; e proprio nei mutamenti maggiormente riconosciuti come tali non sempre corrisponde un effettuale cambio di paradigma. Spesso a tal proposito si rammenta il gattopardismo, cifra che sembra riassumere molte sfaccettature dell’Italia contemporanea: “Bisogna che tutto cambi perché non cambi niente”. Per portarne un esempio, Guido Crainz ha voluto soffermarsi sulle affinità tra il passaggio dal fascismo alla Repubblica Italiana e quello che ha portato l’Italia dalla cd. “Prima Repubblica” alla “Seconda Repubblica”.
In entrambe le occasioni, pur di evitare un esame di coscienza collettivo, molti hanno preferito addossare le colpe ad un capo espiatorio. Tante altre riflessioni e curiosità sono emerse nel corso del dibattito, da chi si interrogava sull’ascesa di nuove guide politiche carismatiche a chi invece ipotizzava scenari futuri. Impresa ardua – se non impossibile – anche per lo storico. Nonostante ciò, forse qualche avvisaglia si può scorgere, come il ritorno alla dimensione del sacro – fenomeno definito da alcuni osservatori “desecolarizzazione” – proprio nel contesto in cui le istituzioni risultano indebolite e la “globalizzazione” pone nuove sfide globali. In conclusione, il raffronto per far emergere analogie e differenze è elemento principe della storiografia e l’idealtipo interpretativo della “transizione” può essere un utile strumento per comprendere gli scenari passati e quelli ancora in gestazione.