INTERVISTA Ines Caloisi (Scelta europea): “L’Europa manca alla gente”
«L’Europa è la risposta». Ne è profondamente convinta Ines Caloisi, 47 anni, romana, candidata da Scelta europea nella circoscrizione dell’Italia centrale. Chi però volesse metterla in conto a una delle tre formazioni che campeggiano sul contrassegno della lista (o a uno dei tanti gruppi che sostengono il progetto legato all’Alde) resterebbe deluso.
Da alcuni anni la Caloisi opera come presidente dell’associazione TIA Formazione Internazionale, che ha fondato lei stessa e per la quale idea e coordina progetti di impatto politico culturale. Qualche esperienza politica diretta l’ha avuta, ma nel Partito democratico e nel Movimento federalista europeo. È appunto un’Europa federale che lei vuole e cui vorrebbe puntare anche attraverso la sua candidatura, ritenendola «pienamente coerente» con il suo percorso.
L’intervista, dunque, è un’occasione per parlare dell’Europa che ancora non c’è o non sa comunicarsi, ma anche della poca alfabetizzazione europea a casa nostra, del Pd e di Renzi (con un cammeo di Prodi).
Caloisi, lei fino a qualche anno fa militava nel Pd e si è impegnata anche pubblicamente in quel partito, ora è candidata con Scelta europea: ci siamo persi qualche puntata nel frattempo?
Non è successo nulla di particolare. Ho sempre sostenuto la linea di Matteo Renzi, alle primarie del 2012 e anche in seguito: il Pd aveva necessariamente bisogno di un cambiamento. Alle ultime primarie per la segreteria, però, ho sostenuto Renzi senza essere iscritta al partito: mi sono resa conto che nel partito purtroppo erano delle logiche troppo forti di corrente. Avevo la responsabilità della cultura nel XII municipio a Roma e mi sono accorta che quelle logiche prevalevano sulla qualità e anche sulle potenzialità delle attività che si potevano organizzare, anche in termini culturali. In quelle condizioni, ho ritenuto opportuno lasciare la tessera e canalizzare le iniziative rivolte ai giovani e all’Europa direttamente attraverso la mia associazione.
Quindi si è avvicinata all’Alde?
No, il mio rapporto con l’Alde c’era già prima: il primo deputato europeo che ho conosciuto è stato Niccolò Rinaldi (eletto a Strasburgo nel 2009 come indipendente nell’Idv, ma già dal 2000 segretario generale aggiunto dell’assemblea, ndr). Tenga presente che io mi sono iscritta al Pd dall’inizio, non avevo alcuna militanza precedente.
Una nativa Pd, dunque.
Anzi, socia fondatrice. Tornai da Bruxelles e presi la tessera con 5 euro. Lo feci con convinzione: la linea di Veltroni io la rispettavo, a me sinceramente piaceva. Ho creduto di poter dare un contributo dall’interno, volto ad accelerare un cambiamento, ma mi sono resa conto che in una struttura simile sarebbe impossibile, a meno di essere integrati in alcune logiche che io invece discutevo. Se vuoi un cambiamento, devi gestirlo tu all’esterno, facendoti parte attiva: il mio approccio è stato sempre molto pratico. Io ero poi legata a Sandro Gozi, di cui rispettavo molto l’approccio liberal: non vedo una grande differenza rispetto alla scelta che mi è stata proposta. Come candidato alla presidenza della Commissione, del resto, avrei comunque scelto Guy Verhofstadt.
Ma com’è nata la sua candidatura?
Ricordo che io scrissi a Rinaldi, dicendogli che avrei sostenuto Verhofstadt e che, se lui avesse voluto, gli avrei potuto dare una mano nella sua ricandidatura a Strasburgo. Io non pensavo minimamente di candidarmi. Ricevetti la risposta di Rinaldi una domenica, mentre stavo lavorando: «Cara Ines, in realtà penso che tu dovresti candidarti». Devo dire che l’invito mi ha spiazzato, al punto che in un primo tempo non ho dato proprio rilevanza a quelle parole e ho continuato l’attività della mia associazione. La proposta però si è fatta concreta e mi sono detta che una persona che ama l’Europa come me non poteva chiudere le porte a questa opportunità. Io ho sempre avuto una linea liberal, la mia linea federalista è quella di Verhofstadt: mi sembra di essere pienamente coerente.
Quindi in qualche misura l’ha convinta il progetto Alde?
Mi ha convinto proprio la candidatura di Verhofstadt. Io non mi sono mai considerata “di sinistra”, anche nel Pd: puntavo sulla responsabilità, sull’imprenditorialità, poco statalismo, supporto allo Stato ma con la possibilità di metterlo in discussione se certe regole non funzionano. Credo poi che si debba evidenziare un aspetto importante: votare per il Parlamento italiano e per quello europeo sono due cose profondamente diverse. In Italia il mio voto andrebbe comunque al Pd, l’ho votato anche alle ultime elezioni alla Camera, mentre al Senato votai per Monti. Nel momento in cui mi propongo a livello europeo, devo rispondere a logiche che guardino ai trattati europei e anche ai gruppi parlamentari europei: non è un ragionamento da “tifoso di partito”, ma da persona che sa come funziona l’Unione europea. A mio parere va data forza all’idea principale, quella dell’Europa federale: l’unico che può incarnarla secondo me è Guy Verhofstadt.
All’inizio di marzo l’operazione poi sfociata in Scelta europea ha incassato la stima di Romano Prodi: lui si è affrettato a dire che non era un endorsement, ma in politica le parole sono pietre…
Sono perfettamente d’accordo. Quell’intervento video di Prodi sembrava davvero una forma di endorsement, anche se lui di fatto l’ha inquadrato piuttosto come un appoggio “morale”. Credo che Prodi, in ogni caso, con quelle parole sia stato coerente con se stesso. È chiaro che lui da tempo si è chiamato fuori, ha scelto di non essere parte attiva e penso che si possa spiegare così la sua precisazione; non mi aspettavo quelle sue parole di inizio marzo, ma non mi hanno sorpreso. Del resto, è stato chiarissimo il ruolo svolto da Romano Prodi tra l’Italia e l’Europa.
In qualche modo colpisce che questa formazione stia riuscendo ad aggregare l’impegno dei vari arcipelaghi liberali che si sono creati nel tempo e che spesso hanno conosciuto liti.
Di fatto ci si sta ritrovando in un programma, rispetto ad alcune idee in cui si riconosce il gruppo Alde che è il terzo gruppo in Parlamento europeo.C’era comunque l’esigenza di superare lo sbarramento del 4% imposto dalla legge elettorale, ma sento che sono vari i punti di incontro. Non credo nemmeno che ci siano difficoltà a trovare nuovi punti di incontro dopo il voto: il programma è chiaro, così come la candidatura di Guy Verhofstadt e sul risultato elettorale sono ottimista.
Eppure lo stesso contenitore resta piuttosto eterogeneo, visto che c’è un Centro democratico, che con l’Alde non c’entra moltissimo…
… eppure è stato tra i primi a far parte del progetto…
… e la stessa Scelta civica solo negli ultimi giorni è entrata a tutti gli effetti nel cartello, dopo un atteggiamento piuttosto bellicoso passato anche per la diffida sull’uso del nome.
Guardi, questa compagine frammentata può sembrare ed essere un punto di debolezza, ma credo sia importante che in Italia esista una terza forza: il dualismo sinistra-destra secondo me è poco rappresentativo, il nostro paese avrebbe bisogno di una forza liberaldemocratica.
Molti hanno criticato Stefania Giannini, capolista nonostante sia ministra, ruolo che difficilmente lascerebbe per un seggio a Strasburgo (lo stesso vale per Lupi e la Lorenzin di Ncd). Era opportuna quella candidatura?
Onestamente non ho approfondito e non mi esprimo direttamente: sono in fondo scelte interne a Scelta civica e io non so come siano nate le liste. Forse, essendo lei ministra, sul piano formale sarebbe stato meglio se ci fosse stato un altro nome al posto del suo; mi rendo però conto che probabilmente la sua presenza ha un suo significato, essendo lei il segretario di Scelta civica.
Già, ma dimettendosi di fatto lascerà il posto a qualcun altro e gli elettori votano lei…
Penso che ci sia anche la sua volontà di dare forza alla lista, anche nell’ottica di superare il 4%: da una parte il suo è anche un atto di coraggio.
La vostra formazione si chiama «Scelta europea», ma quale Europa?
Per quanto mi riguarda, un’Europa che abbia sicuramente obiettivi federali, con più coesione politica. Un’Europa che sia collocabile anche identitariamente e geopoliticamente, cosa che ora non è. Un’Europa in cui i paesi cedono sovranità e con più politiche comuni: come può funzionare una realtà che ha un’unica moneta ma non ha una politica economica e fiscale comune? Penso anche alla necessità di avere un esercito europeo, un ministro degli esteri realmente europeo, non un alto rappresentante che non ha veri poteri.
Quella conosciuta finora, però, è stata soprattutto un’Europa che si è curata di chi aveva risorse da far circolare, modellando su di loro norme e comportamenti. Come si può cambiare la tendenza?
Innanzitutto occorre un’interpretazione in termini valoriali. I trattati danno già forza ad alcune azioni che potremmo intraprendere, ma non lo facciamo. Penso alla cooperazione rafforzata tra Stati, che potrebbe essere utilizzata meglio; darei poi più forza al Parlamento europeo.
Crede che della situazione attuale sia colpevole la Germania?
No, credo ci sia una corresponsabilità di tutti gli Stati. La Germania, a mio parere, non va criminalizzata. Tenga presente che la Germania ha fatto le riforme quando noi non le facevamo, è un paese da rispettare in quanto tale; in più, quando non c’è una governance, è normale che qualcuno cerchi di prendere il potere e, visto che in Europa una governance non c’è, a prendere il potere sono i paesi più forti. In un certo senso è una responsabilità che si è assunta la Germania; può averlo fatto bene o no, ma dipende anche dal modo in cui gli altri si prendono le loro responsabilità.
L’Italia come dovrebbe cambiare?
Partiamo dal fatto che l’Italia è stato fondatore della CEE e, dunque, anche dell’attuale Unione europea, dunque ha valori innati su questo tema. Questi valori vanno riportati alla luce con la forza delle idee e il coraggio. Non a caso credo che nel Pd Matteo Renzi stia andando nella direzione giusta; al momento l’azione non sarà perfetta, ma sta dando l’idea di un cambiamento di direzione. Pensi poi che l’Italia avrà due occasioni da sfruttare. Da una parte c’è il semestre italiano di presidenza dell’Ue, in cui i nostri parlamentari potranno dare priorità; dall’altra c’è l’Expo 2015 che darà al nostro paese forza e visibilità. In ogni caso, questo è un momento storico per l’Itala e queste due occasioni possono dare una spinta forte: basta credere nei propri valori e renderli concreti, non lasciarli solo in parole. C’è poi la materia dei fondi europei, strumenti che l’Italia è chiamata a utilizzare molto meglio.
Un serio problema di cui l’Italia dovrà sollecitare la discussione in Europa è quello delle frontiere e dei movimenti migratori, che ultimamente sembrano visti come “problemi d’Italia” e non di tutta l’Europa.
È vero che ora i confini sono confini di tutta l’Europa, ma è anche vero che se non rafforziamo la politica europea, in modo che l’Unione possa occuparsi anche delle politiche migratorie, è difficile che la Ue si occupi di questo. Non dimentichiamo poi che gli stati sono legati tra loro dai trattati, per cui è complesso riuscire a intervenire sui flussi migratori, anche perché teoricamente questi “appartengono” ai singoli stati.
Le sue competenze in materia di formazione come possono essere spese in ambito europeo?
Io mi occupo ormai da anni di approfondire i temi della politica europea – ho una laurea in lingue, un master in geopolitica e uno in politiche europee, feci uno stage a Bruxelles – e quando ho conosciuto l’Europa, la mia idea era di portarla in Italia. Quando vai a Bruxelles ti innamori dell’Europa e anche la nascita della mia associazione è stata determinata dal mio desiderio di portare qui tutto quello che vedevo, a partire da quel grandissimo senso di equità e giustizia che avevo appreso là: il fatto che unisca popoli che si ritrovano sotto qualcosa che unisce è un aspetto comunque positivo che ti appassiona. Anche per questo ho cercato di portare avanti progetti di informazione è comunicazione: è molto importante ascoltare i cittadini, ma anche raccontare loro come funziona l’Europa non è cosa da poco, visto che l’Europa in qualche modo è nata dall’alto, mentre dovrebbe anche essere scelta dal basso. Le attività di in-formazione che ho cercato di portare avanti attraverso la mia associazione in qualche misura mi danno il polso di quanto l’Europa manchi alla gente e sia importante portarla.
Cosa non abbiamo capito per niente dell’Europa?
Non la conosciamo proprio. I ragazzi giovani hanno molto interesse, molta curiosità; le persone 40-50enni proprio nulla, a meno che non abbiano una formazione specifica. Non abbiamo capito che, in fondo, è l’unico strumento che ci può aiutare ad avere le risposte che cerchiamo, a patto di comprenderla. Poi, ammettiamolo, è anche comunicata molto male: c’è una corresponsabilità di chi non si informa, ma anche delle istituzioni europee. Andare su un loro sito e cercare risposte alle proprie domande oggi è difficilissimo: è pieno di materiale, ma trovare quello che serve davvero è un’impresa. Eppoi troppe organizzazioni si occupano delle stesse cose: dovrebbe esserci una politica di sistema, cosa che ci permetterebbe di gestire i fondi europei in modo del tutto differente.