Segnali misti dall’economia americana, ma la Fed andrà avanti per la propria strada
L’ultima settimana è stata dominata dai dati macro relativi agli Stati Uniti, che hanno soddisfatto in vario modo sia orsi che tori, nonché vie di mezzo.
Se si vuole partire dalle buone notizie, la manifattura a stelle e strisce ha segnato una forte crescita, mentre la spesa per consumi ha registrato il maggior rialzo dal 2009. Il mercato del lavoro ha dato invece segnali misti: esso ha visto un forte aumento dei posti di lavoro creati in settori non agricoli (manca molto poco al recupero di tutti i posti di lavoro persi dal 2007) e un deciso calo del tasso di disoccupazione, ma il report è stato ricco anche di delusioni con cui soppesare i dati positivi.
In primo luogo, il tasso di occupazione è sceso a sua volta, segnalando che il calo del tasso di disoccupazione è dovuto più a forza lavoro uscita dalle statistiche, piuttosto che a lavoratori tornati in attività. In secondo luogo altri indicatori della disoccupazione, come il tasso U6 che considera non solo chi cerca lavoro, ma anche i disoccupati che hanno cercato lavoro negli ultimi 12 mesi ma hanno smesso di cercarlo e chi è occupato part-time perché non trova lavori a tempo pieno, continuano a rimanere depressi, generando più di una domanda su una ripresa sempre più senza lavoro. Non va dimenticato che, anche se sono stati quasi recuperati tutti i posti di lavoro distrutti dalla Grande Recessione, nel frattempo la popolazione è aumentata e recuperare il tempo perduto rischia di essere cosa molto lunga.
L’ultimo dato è quello del prodotto interno lordo: il dato è stato paurosamente deludente sia rispetto alle attese che rispetto al dato precedente.
Tutti questi report vanno messi in un contesto: il dato sul PIL, letto in combinato con il dato sull’attività manifatturiera, sembra dare credito alla teoria del rallentamento causato dalle avverse condizioni meteorologiche, e nei prossimi trimestri il PIL dovrebbe continuare a crescere a ritmi relativamente moderati, proseguendo nel faticoso recupero del mercato del lavoro.
Ciò fa sorgere una domanda: la Fed cambierà la propria politica monetaria per via di questi dati, interrompendo il ritmo del tapering? La risposta, probabilmente, è no: non bastano dati peggiori del previsto, servono dati in grado di cambiare l’outlook di medio termine, e non sembra essere il caso. Anche se la Fed dovesse abbassare le stime di crescita di un mezzo punto, gli USA crescerebbero comunque ad un ritmo superiore al proprio potenziale di lungo periodo. Ne sapremo comunque di più con l’arrivo delle proiezioni della Fed relative a giugno.
L’agenda macroeconomica prevede lunedì 5 maggio l’indice ISM non manifatturiero USA, atteso in lieve aumento. Misura simile verrà rilasciata per diversi Paesi europei nella giornata successiva, e i dati sono attesi tutti in espansione, Italia compresa, con un ritorno frazionale al di sopra della soglia dei 50 punti. Le vendite al dettaglio UE dovrebbero segnare una contrazione dello 0,2 per cento, pur crescendo su base annua dell’1 per cento.
Mercoledì il presidente della Fed Janet Yellen testimonierà davanti al Congresso, informandolo dell’outlook economico. Giovedì è attesa la produzione industriale tedesca, che dovrebbe rallentare su base tendenziale, pur continuando a crescere, ma soprattutto l’annuncio di politica monetaria della Banca Centrale Europea. L’attesa è per un nulla di fatto, nonostante un’inflazione al di sotto delle attese, pur se in lieve crescita: anche in questo caso il dato non fa cambiare l’outlook di medio termine, e, anzi, per il momento sembrano allontanarsi le misure non convenzionali. I jobless claims USA restano attesi intorno ai 330mila nuovi richiedenti.
Venerdì il dato sull’inflazione cinese dovrebbe rivelare un raffreddamento della crescita dei prezzi; la produzione industriale italiana è attesa in accelerazione su base annua, a +1,2 per cento.