La Cina verso record negativi di crescita, ma la borsa vola.
Il gigante cinese sta forse diventando più normale, meno eccezionale ed invincibile, la seconda economia più grande del mondo, che cerca naturalmente di diventare la prima, crescerà nel 2015 “solo” il 6,5%, meno della previsione precedente del 6,8%, e ancora meno del 7,4% del 2014, che era già la crescita minore in 24 anni, dal 1990.
I sintomi erano presenti già da alcuni mesi, a marzo l’indice dei sentimenti dei direttori acquisti delle aziende aveva toccato il 49,2, in basso rispetto al 50,7 di febbraio. Avere un dato sotto il 50 vuol dire rilevare una contrazione del settore manifatturiero, perlomeno degli ordini.
Quello che tuttavia più preoccupa gli economisti cinesi ed internazionali è la crisi del settore immobiliare.
Secondo un sondaggio di CNN Money l’80% degli economisti ritiene che per la Cina sia lo scoppio della bolla immobiliare il pericolo più forte, ancora più del credito facile, che tuttavia è naturalmente tra le concause della crescita incontrollata del settore del real estate.
Secondo gli analisti giapponesi di Nomura ormai non è più una questione di “se”, nè di “quando”, ma di “quanto” sarà doloroso lo scoppio della bolla in Cina, che ormai sarebbe già avvenuto. Si è già verificato un calo nella costruzione di nuove case del 25%, così come è in atto un calo delle vendite di proprietà, e nelle città medie e piccole è già in atto un indebolimento dei prezzi.
Secondo l’istituto di statistica cinese stanno decelerando bruscamente gli investimenti nel settore immobiliare, come si vede dal seguente grafico, da aumenti tendenziali anche del 18%, si è passati ora a un +8,5%, che si riferisce comunque soprattutto al settore business e a costruzioni già avvenute.
Tuttavia un sintomo esplicativo della crisi del settore in Cina è facilmente riscontrabile dalla diminuzione netta degli acquisti della terra a scopo immobiliare, in crollo del 32%.
Di fatto si è formata e persiste una sovra-offerta rispetto alla domanda nel settore immobiliare, stanno crescendo gli invenduti e ci sono tutte le ricette per lo scoppio della bolla, che in alcune regioni sta già avvenendo, nel Nord della Cina, nelle province del Heilongjiang, Jilin, Gansu and Inner Mongolia, in pratica la Manciuria, e le aree vicino al confine mongolo, gli investimenti, che ancora crescono, come abbiamo visto, del 8% a livello nazionale, stanno già calando. Si tratta per ora solo di province periferiche, ma è un segnale di allarme, considerando che il settore immobiliare con i relativi servizi per gli analisti di JP Morgan costituisce il 20% della crescita cinese.
Lo scoppio di una bolla che colpirà certamente anche quei partner commerciali che riforniscono la Cina di macchinari e strumenti per l’edilizia, e materie prime, e che per la prima volta in 16 anni vedrà la Cina stessa essere superata dall’India, che secondo il FMI crescerà al 7,5%.
Cina: la Borsa corre nonostante la crisi
Una delle conseguenze più particolari però di questa crisi (crisi relativa secondo i criteri occidentali), è paradossalmente il decollo della Borsa cinese. Le cifre sono impressionanti, l’indice composito Shenzen, fatto di aziende giovani, nel campo dei media, del ICT, delle telecomunicazioni, è aumentato del 47% nella prima parte del 2015, mentre il benchmark cinese, l’indice Shanghai, del 19%, si può vedere di seguito un confronto con il S&P 500
Per quale motivo? Esattamente per il rallentamento dell’economia, a fronte del quale gli operatori prevedono un intervento di stimolo da parte del governo, analogo a quello americano dopo il 2008, e che aveva portato analoghi rialzi di borsa.
A questo si è aggiunto la diminuzione della riserva frazionaria decisa dalla Banca Centrale e dal calo del tasso d’interesse, che mirano a creare più liquidità, e sono percepiti con tale scopo dagli operatori economici.
Inoltre, la crisi del settore immobiliare sta appunto deviando larghi stock di liquidità da questo al settore azionario, che del resto è ancora relativamente poco sviluppato, con aperture solo molto recenti a investitori esteri che compongono solo una minima parte del capitale investito in azioni, ancora per la maggior parte fatto di cinesi, tra cui si distinguono gli investitori al dettaglio, quei “retail investors” che negli ultimi anni si erano allontanati dalla Borsa (da 70% degli operatori erano scesi al 27%) dopo alcuni movimenti irregolari, dei “flash moves”, che gli istituti regolatori locali non avevano impedito.
Ora stanno tornando, e non si vede un limite alla crescita della Borsa in Cina, un altro segno della modernizzazione cinese, con un PIL che correrà come quello di un Paese economicamente maturo e non più emergente, e una economia più complessa, fatta anche, sì, di bolle, come l’Occidente è abituato da tempo.