“La Siae non è nata per garantire diritti a tutti”: così parlava il neo Presidente Filippo Sugar
Ci sono occasioni nelle quali sfogliare a ritroso gli archivi online dei giornali riserva sorprese inattese, mette a dura prova la coerenza delle persone e suggerisce punti di vista straordinariamente stimolanti nella comprensione del presente.
E’ il caso di una bella intervista a Filippo Sugar, neo Presidente in pectore della Siae, pubblicata nel febbraio del 2010 sulle pagine di Repubblica.
L’uomo che il Consiglio di Gestione della società ha appena designato quale successore di Gino Paoli – dimessosi dopo esser stato travolto dall’indagine per evasione fiscale della Procura della Repubblica di Genova – alla guida della Società italiana autori ed editori, una manciata di anni fa sparava a zero sulla società che ora potrebbe ritrovarsi a presiedere e rappresentare.
“La rivoluzione digitale – diceva Filippo Sugar ai microfoni diRepubblica – sta provocando sconquassi sui mercati dei contenuti, ma offre anche grandi opportunità di crescita. Autori e editori della musica italiana avrebbero ottime prospettive di crescita se potessero contare su una Siae adeguata e al passo coi tempi, invece di un organismo burocratico e clientelare la cui inefficienza pesa negativamente sulla nostra competitività”. Parole decisamente poco lusinghiere all’indirizzo della società che oggi ambisce a presiedere.
Ma non basta.
Il neo Presidente in pectore della Siae che, solo l’altro ieri, ai microfoni di Wired, escludeva che in Europa vi sia spazio per unareale concorrenza tra società di gestione dei diritti d’autore, nel febbraio del 2010, sembrava pensarla in modo radicalmente diverso e, infatti, alla domanda di Paola Jadeluca che gli chiedeva se pensasse di lasciare Siae, rispondeva così: «In teoria non possiamo perché, caso unico al mondo, la legge garantisce alla Siae il monopolio legale sull’intermediazione del diritto d’ autore in Italia. E così si crea un altro paradosso. C’ è una legge che ci obbliga a restare dentro la Società, ad assistere impotenti a un sempre più probabile declino. E’ chiaro che così non si può andare avanti! Il monopolio di legge ha valore in Italia, ma nessuno può impedire di farci rappresentare da un’ altra Società di Collecting europea.” Ma non basta ancora. “C’ è una situazione di stallo sugli incassi correnti della musica che languono – aggiungeva un incontenibile Filippo Sugar alla giornalista che lo intervistava – anche perché la Societànon si confronta con il mercato, non svolge adeguati controlli sulle entrate che percepisce dall’estero, è in ritardo nel negoziare con i nuovi utilizzatori”.
In una manciata di anni, però, Filippo Sugar sembra essersi trasformato da pungente contestatore della Siae e del suo management, picconatore di un anacronistico monopolio, “caso unico al mondo” e preoccupato analista dei bilanci della società, ad aspirante Presidente della Siae e suo fiero e convinto difensore.
Una metamorfosi apparentemente inspiegabile specie se si considera che la situazione economico-finanziaria della società dal 2009 ad oggi non solo non è migliorata affatto ma è anzi probabilmente addirittura peggiorata.
Lo dice, senza alcuna ambiguità né possibilità di errore il semplice raffronto tra il bilancio relativo all’esercizio 2009 – ovvero quello che Filippo Sugar aveva davanti mentre rispondeva all’intervista de La Repubblica – e quello al 31 dicembre 2013, ovvero l’ultimo disponibile e, anche, il primo della fugace stagione di Gino Paoli al quale Sugar, ora, si accinge a subentrare. Nel 2009, infatti, la Siae incassava per diritto d’autore 570 milioni di euro mentre nel 2013 ne ha incassati appena 522 milioni. E alla stessa conclusione si arriva confrontando uno dei più significativi indici dello stato di salute di una società ovvero il margine operativo lordo, la differenza tra il valore della produzione ed i suoi costi.
Nel 2009 – quando Sugar lamentava l’incapacità della Siae e del suo management di confrontarsi con il mercato, la società spendeva 204 milioni di euro all’anno per produrne poco più di 183 milioni con un margine operativo lordo, dunque, negativo di 20 milioni e 900 mila euro mentre nel 2013 la società spende 183 milioni di euro per produrne 156 e ha, dunque, un margine operativo lordo negativo addirittura per oltre 27 milioni di euro.
La Siae che Filippo Sugar si avvia a presiedere, dunque, è una società ridotta assai peggio di quella che criticava duramente nel 2010, spingendosi ad ipotizzare di guidare un esodo di massa verso altre società europee più moderne ed efficienti.
Impossibile davanti a considerazioni obiettive di questo genere non domandarsi cosa ci sia all’origine della ‘folgorazione’ del neo Presidente in pectore della Siae lungo la via di Damasco. Cosa è cambiato da allora ad oggi se i conti della società sono rimasti in rosso e le prospettive di breve e medio periodo non fanno sperare nessun miracolo?
E’ cambiata una cosa soltanto: il nuovo Statuto – quello approvato nel corso dell’ultima gestione commissariale – ha consegnato la società saldamente nelle mani degli autori ed editori più ricchi, privando le decine di migliaia di piccoli e medi autori ed editori di ogni voce in capitolo in termini di gestione e governance della società. E’ bastato, infatti, prevedere che in assemblea, ogni iscritto dispone di un voto più un altro voto per ogni euro guadagnato nell’anno precedente.
Ed è accaduto così che alla guida della società, negli ultimi due anni, si siano avvicendati Gino Paoli, uno dei più ricchi cantautori italiani e Filippo Sugar uno dei più ricchi – se non il più ricco – editore musicale.
Letta così la storia della conversione del neo Presidente in pectore della società assume contorni completamente diversi.
Quando la Siae si ritrovava “costretta” per Statuto a fare gli interessi di tutte le decine di migliaia di autori ed editori italiani Sugar meditava di abbandonarla, ma oggi che la Siae è una fedele protettrice degli interessi degli autori ed editori più ricchi è tutta un’altra musica.
E, a ben vedere, questa semplice e disarmante conclusione trova la miglior conferma proprio nelle parole pronunciate da Filippo Sugar ai microfoni di Repubblica nel, non tanto lontano, 2010: «La musica rappresenta l’80% degli introiti della Siae e la grande maggioranza degli incassi della musica è garantita da 7/800 autori e editori professionisti a tempo pieno che però non possono decidere in materia di gestione perché sono “per statuto” in minoranza. Un paradosso. Se chi ha veri interessi in una Società non può guidarne le strategie si crea un potenziale conflitto fra gli interessi legittimi degli associati e l’agenda di chi governa la società. […] La Siae non è nata per garantire diritti a tutti”.
Val la pena di ripetere l’ultima frase del Presidente in pectore della nuova Società italiana autori ed editori: “La Siae non è nata per garantire diritti a tutti”. Ogni parola di più sarebbe davvero inutile e fuori luogo.
La storia parla e racconta più di ogni considerazioni o opinione di parte.
Adesso tocca al Ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Repubblica ed alle commissioni Parlamentari ovvero alle istituzioni chiamate a ratificare la nomina di Filippo Sugar a Presidente della Siae, decidere se è davvero possibile che una società alla quale lo Stato continua ad affidare, in regime di esclusiva legale, la cura degli interessi di decine di migliaia di autori ed editori possa essere affidata a chi – del tutto legittimamente dal proprio egoistico punto di vista – ha sempre ritenuto che la missione della SIAE non potesse essere quella di garantire i diritti di tutti.
NOTA DI TRASPARENZA: il pezzo è il risultato di un’analisi obiettiva e documentata dei fatti ma, come di consueto, segnalo che rappresento una collecting inglese concorrente della SIAE.