Non è la prima volta che la Confindustra italiana sembra uscire da un certo stereotipo che la vedrebbe tutta tagli e austerità, il liberismo economico sembra essere relegato alle leggi sul lavoro per Squinzi e gli altri imprenditori, che invece già in altre occasioni hanno mostrato di appoggiare Renzi e i suoi tentativi di contrastare le richieste di rispetto del patto di stabilità da parte di Bruxelles.
In questa occasione una ulteriore conferma di questo atteggiamento viene dal report del Centro Studi di Confindustria, che tiene a sottolineare come il diverso tipo di risposta alla crisi economica oltreoceano ha prodotto diversi tipi di performance economica oggi.
Negli ultimi 3 anni la differenza è stata rilevante: nel 2014 il PIL americano era del 7,1% superiore a quello del 2011, mentre quello europeo era dello 0,4% in meno. Di fatto in USA il Prodotto interno lordo era cresciuto del 2,3% annuo in media e calato del 0,1% in Europa.
Rispetto al 2006-2007 in realtà il PIL americano è addirittura del 10% superiore in USA, e del 1% circa inferiore in Europa
Come si vede prima della crisi la crescita era invece maggiore nell’Eurozona.
Cosa è accaduto?
Spesa pubblica aumentata molto di più negli USA
Secondo la Confindustria in realtà la gran parte delle cause di questa diversità tra le due sponde dell’Atlantico risiede nelle reazioni alla crisi economica: gli USA avrebbero rimandato gli aggiustamenti di bilancio e invece puntato su una politica più espansiva, ovvero sulla spesa pubblica negli anni successivi all’inizio del rallentamento dell’economia, nel 2006.
La spesa pubblica negli USA nei primi 3 anni dal 2006 al 2009 è aumentata del 46,3%, ovvero del 11,3% del PIL del 2006, per poi aumentare solo marginalmente (del 0,9% in tutto) negli anni successivi. In Europa invece la spesa pubblica è salita del 24,3% dal 2007 al 2010, e tra l’altro come sappiamo in modo molto asimmetrico, ovvero molto meno in quei Paesi che più hanno subito la recessione, come l’Italia o la Grecia, e comunque del 9,5% del PIL, e poi dopo il 2010 in totale di un altro 3,9%
Il risultato finale è che in realtà la spesa pubblica primaria negli USA rispetto al PIL 2014 è aumentata solo del 1,8%, mentre nell’Eurozona del 4,1%, a causa della maggiore crescita oltreoceano.
Di fatto gli USA hanno mobilitato più miliardi, in disavanzo, dopo lo scoppio della crisi, quasi 1300 miliardi di dollari, il 9% del PIL rinunciando a tornare ora in avanzo primario come l’eurozona che è arrivata solo al 3,4% e 318 miliardi
Il rientro è avvenuto di fatto grazie solo all’aumento del gettito, e non a tagli della spesa pubblica, tutt’altro, e questo gettito, +19,5% tra 2011 e 2014 è derivato dall’aumento del PIL, non da aumenti di imposte, cosicchè nel 2014 le entrate fiscali sul PIL erano al 33,3% come nel periodo pre-crisi.
Al contrario nell’eurozona le entrate erano il 46,6% del PIL contro il 44,7% nel 2007, proprio per l’insufficiente performance del reddito.
Il ragionamento di Confindustria è, a quanto pare, e forse un po’ sorprendentemente, perfettamente keynesiano, soprattutto quando loda l’aumento del 72% della la spesa sociale in 7 anni, più del doppio che in Europa
Il principio alla base è che secondo il Congressional Budget Office (CBO), in una fase di recessione e/o in un periodo di tassi di interesse fermi vicino allo zero, il moltiplicatore della spesa primaria al netto dei trasferimenti è pari, in media, a 1,5, e l’aumento del PIL, quindi, è circa una volta e mezzo quello della spesa pubblica. Risultato di un effetto diretto, perché la spesa per consumi pubblici finali e investimenti fissi è, in contabilità nazionale, una componente del PIL, e di uno indiretto, grazie al fatto che il maggiore reddito stimola i consumi delle famiglie e favorisce così nuove opportunità di investimento, con effetti a cascata che amplificano l’impulso iniziale.
Naturalmente tutte queste considerazioni ne trascurano altre, che anche il centro Studi di Confindustria, accennano solamente, ovvero il fattore fiducia, la possibilità cioè che una spesa pubblica effettuata da un Paese piccolo come l’Italia possa ispirare la stessa credibilità di quella di un governo federale come quello americano.
La differenza fondamentale, e ben nota, è che non esiste per l’Eurozona un bilancio federale e un vero e proprio governo, non esistono titoli di stato europeo, ogni operazioni espansiva sarebbe dovuta essere messa in atto dai singoli Stati, e in particolare da quelli più colpiti dalla crisi e con i conti nelle peggiori condizioni, come Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, ecc, cosa che certo non avrebbe attirato la fiducia degli operatori internazionali, americani in testa, oppure in un principio di solidarietà da quelli più forti come la Germania, e tuttavia è chiaro che in questo caso in mancanza di strutture federali chiare non si sarebbe avuto un vincolo vero per i Paesi mediterranei perchè non ripetessero le condizioni che li avevano portati sull’orlo del default.
Inoltre non viene valutato il ruolo della demografia, con un Paese, gli USA con popoplazione molto più giovane e quindi incline al consumo e che cresce del 1% annuo contro quella europea ferma e molto più anziana. Questo fattore già spiega molto della differenza di crescita del PIL e dell’assorbimento migliore della spesa pubblica statale oltreoceano.
Infine, e questo forse è il punto fondamentale, e che in passato del resto Confindustria amava sottolineare, vi è il fattore produttività: nel momento in cui gli USA rimangono il Paese più avanzato al mondo, il luogo dove il valore aggiunto si crea, sulla frontiera tecnologica, e in una fase di bassa inflazione se per esempio anche tramite spesa pubblica si mantiene la capacità di essere produttiva, allora subisce meno dell’Europa della concorrenza della maggiore competitività dei Paesi emergenti.
E’ questo il punto focale per il futuro, cercare di avvicinare la produttività e la capacità di generare innovazione tecnologica degli USA. Certamente quei dati sulla pressione fiscale quasi del 15% inferiore oltreoceano non possono passare inosservati.