“Il racconto di Renzi del paese è metadone” perché “la percezione delle cose vale più del reale” ma “non aiuta a star meglio”. La rivincita. Per ora solo a parole. Enrico Letta è tornato alla ribalta esattamente un anno dopo le sue dimissioni da Presidente del Consiglio. Lo ha fatto prima con il libro “Andare insieme andare lontano” (Mondadori, p.144) uscito proprio ieri nelle librerie, poi con l’annuncio delle sue dimissioni da parlamentare a Che tempo che fa e infine con una girandola di interviste a media italiani e internazionali.
Stamani nel “faccia a faccia” con Giovanni Minoli su Radio 24 è tornato ad attaccare colui che proprio un anno fa lo pugnalò alle spalle con tanto di hashtag “#enricostaisereno”. E la critica esplicita non è solo rivolta allo storytelling del premier ma anche al suo insediamento a Palazzo Chigi. “Come presidente non eletto mi sono sentito a disagio” ha confidato Letta ma “non c’erano alternative alle larghe intese in cui bisognava trovare una persona che riuscisse a tenere insieme tutti, se no la legislatura non partiva”. Come dire: caro Matteo, invece di spodestarmi, saremmo dovuti andare a votare perché le alternative c’erano eccome.
Critiche all’Italicum
Sono giorni frenetici, questi, per il governo. Prima i fatti. Lunedì scorso l’Italicum è arrivato in commissione Affari Costituzionali della Camera e Matteo Renzi ha imposto la sostituzione di 10 componenti della minoranza contrari al disegno di legge approvato in prima lettura sia a Montecitorio che a Palazzo Madama. Oggi la commissione ha dato il via libera al testo con la partecipazione al voto solo degli esponenti di maggioranza e il 27 inizierà la discussione in aula.
Il premier vuole chiudere prima delle Regionali. Enrico Letta, confermando la linea tenuta nei giorni precedenti, lascia aperte le porte a qualunque opzione: “Se voterò l’Italicum? Bisogna vedere come sarà” dice succinto. Ma Minoli lo incalza: “Ma è questo l’Italicum (non ci saranno modifiche per non tornare al Senato, ndr)”. “Lo vedremo” svia l’ex premier confidando in eventuali miglioramenti. Poi attacca: “in Italia una sola legge elettorale è stata approvata a maggioranza stretta, il Porcellum, ed è stata un disastro mentre le altre, Mattarellum e quelle della prima Repubblica, sono state approvate a maggioranze larghe perché, come ha detto Renzi stesso, le regole del gioco si fanno tutte insieme”. Ergo: “C’è bisogno di una maggioranza larga”.
“Jobs act non è sufficiente”
Letta non lesina critiche al premier anche sul fronte delle riforme strutturali, partendo dal tanto decantato jobs act: “è un passo avanti ma non sufficiente” e “c’è ancora molto da fare”. E cosa? “Oggi il vero problema è la disoccupazione e c’è bisogno di tutelare i lavoratori che il lavoro lo hanno perso” ma “le tutele crescenti non ci sono ancora a sufficienza. Bisogna aggiungere tutele”.
“Errore abolire Mare Nostrum”
Interviste su interviste, dicevamo. Il caso Libia all’ordine del giorno. Sia al Financial Times di Londra che al Les Echos di Parigi dichiara che “bisogna far partire un dispositivo di tipo Mare Nostrum a livello europeo”. Fu proprio il governo Letta-Alfano ad istituire Mare Nostrum nel novembre 2013 dopo la strage di Lampedusa ma poi il governo Renzi smantellò tutto per far posto a un’operazione, Tritone, più povera e meno funzionale. “Per la questione sulla Libia sarebbe stato non male, per esempio, se l’Unione Europea avesse nominato uno come Romano Prodi a occuparsi di questo” ha dichiarato lo stesso Letta a Mix 24 escludendo comunque una “soluzione militare” perché “molto complicata”.
Quale futuro per Letta?
Secondo alcuni sono gli ultimi vagiti prima della morte (politica, naturalmente). Secondo altri, un nuovo grido di battaglia. Ma la copertina della sua nuova fatica letteraria, qualche indicazione in più la concede: “come dice un proverbio africano, se vuoi correre veloce vai da solo, se vuoi andare lontano devi farlo insieme”. Breve citazione che racchiude un manifesto programmatico. Intanto dal primo settembre Letta andrà a vivere del “suo lavoro”: dirigerà la scuola di affari internazionali Sciences Po di Parigi e si dimetterà da deputato. E le malelingue si sono già scatenate: con questi chiari di luna, si sa, l’opposizione è meglio farla fuori dal Palazzo. In futuro, si vedrà.