Dalle bufale sulla Corea del Nord alle incomprensioni gestuali: al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia 2015 si è parlato anche di questo di cui presentiamo un altro speciale dopo aver parlato di talk show nella precedente puntata.
Simone Pieranni: “Luoghi comuni e notizie verosimili poi si rivelano bufale”
Molti avranno visto la foto, riproposta da molte testate occidentali, di Piazza Tienanmen con un maxi-schermo che mostrava il sole all’alba; solitamente l’immagine era corredata da una didascalia o da titoloni secondo cui, dato che i cinesi non riuscirebbero a vedere il sole a causa del grave inquinamento, il governo avrebbe deciso di mostrarlo “finto”, in questo modo. In realtà si trattava semplicemente di una pubblicità di una regione cinese, cosa che chiunque si fosse trovato a Pechino lo avrebbe potuto attestare. Tra questi, Simone Pieranni – fondatore di China Files, nonché membro della redazione esteri del Manifesto –, che ha voluto iniziare il suo intervento di sabato 18 aprile nel dibattito “Orientalismo e narrazione degli eccessi: l’Oriente sui media italiani” partendo proprio da questa notizia. Che non è vera, ma verosimile, e proprio la verosimiglianza fa sì che la notizia possa funzionare.
Essa è emblematica, perché ha riproposto anche abusati luoghi comuni e pregiudizi sulla Cina quale “patria del fake” e sui cinesi che si farebbero abbindolare dal governo. Certamente – riconosce Pieranni – “questa foto ci racconta che in Cina c’è l’inquinamento”, ma affrontarlo seriamente implicherebbe anche il riferire delle moltissime proteste – ogni anno nel paese del Dragone avvengono 180.000 manifestazioni dette “incidenti di piazza” – la maggior parte delle quali per istanze ambientali; e moltissime hanno pure successo, in quanto non intaccano la centralità del Partito Comunista Cinese.
Giulia Pompili, le difficoltà del corrispondente dall’Estremo Oriente
L’intervento successivo è stato quello della giornalista del Foglio Giulia Pompili, che ha tentato di inquadrare le cause delle distorsioni delle notizie sull’Estremo Oriente. Innanzitutto va tenuta in considerazione la difficoltà del pubblico a comprendere l’Asia e l’incapacità da parte di molti di distinguere anche solo tra Cina, Corea e Giappone, che sono “mondi veramente molto diversi”. Inoltre, per notizie spesso di difficile comprensione come quelle estere, l’interesse emerge solamente quando coinvolgono direttamente l’Italia. Da ciò deriva anche l’esigenza da parte del giornalista di essere molto didascalico, il che ostacola abbastanza l’approfondimento di temi specifici. Inoltre vi sono tutte le difficoltà di tipo linguistico che ostacolano molto la ricerca della fonte; se vi sono già incomprensioni con la lingua inglese, figuriamoci con gli ideogrammi orientali!
In pochi sanno che il 97% dei giapponesi legge i quotidiani del mattino o della sera, fidandosi ciecamente della carta stampata ma non della tv, e che è usuale che le testate giornalistiche rettifichino notizie anche vecchie di vent’anni per non perdere la fortissima credibilità di cui godono. Quando si tratta di interviste, inoltre, i giapponesi esigono una precisione al dettaglio, e vi è un’infinita burocrazia per godere dell’accreditamento da parte di una fonte ufficiale. A tutto ciò si possono sommare tutte quelle incomprensioni culturali che ci portiamo dietro. Molti si ricorderanno, ad esempio, l’applaudita accoglienza che è stata riservata agli occidentali in una scena del film Sette anni in Tibet: “Quando i tibetani battono le mani, significa che stanno scacciando le forze maligne”. Analogamente, quando si parla di “scuse”, in Giappone si tratta di un atto dovuto; è una questione di etichetta.
Junko Terao: “Notizie sulla Corea del Nord? Risalire alla fonte e smentire le bufale”
Il terzo intervento è stato quello di Junko Terao, giornalista del settimanale Internazionale. Innanzitutto si è posta la domanda: “Quale e quanta Asia va sui media?” L’Asia, nei mezzi di informazione italiani, si limita alla Cina, mentre le notizie sugli altri paesi arrivano solo in caso di cataclismi o emergenze. Invece generalmente la stampa estera offre più spazio all’Oriente, e non è raro – osserva la Terao – che si trovino approfondimenti sulle riforme in alcuni paesi da noi meno conosciuti, come lo Sri Lanka. Per qual motivo? Non si tratta di mero gusto esotico, ma ciò nasce dalla considerazione che la Cina si relaziona anche con i vicini e quindi è importante riportare anche questo tipo di notizie. Se in Italia si offre relativamente poco spazio agli esteri, ovviamente molto può dipendere dalle scelte editoriali. Come ha osservato a tal proposito, il suo collega Pieranni, se i media stranieri in Cina hanno un comitato formato anche da 15-20 persone, i più grandi mezzi di informazione italiani ne hanno appena uno che, tra l’altro, costa 300.000 ogni anno. Se le bufale sui paesi asiatici che circolano in occidente sono molte, il record spetta a quelle che hanno per oggetto la Corea del Nord, lo “stato d’eccezione” per eccellenza, di fronte al quale molti portali giornalistici lasciano cadere ogni regola e chiudono un occhio sulla deontologia, anche perché molte di quelle bufale ottengono poi diffusione virale.
Sulla Corea del Nord è ritenuto possibile dire tutto e il contrario di tutto, con una curiosità ben sovradimensionata rispetto alla popolazione di questo inaccessibile stato asiatico. La Terao ha mostrato la falsità di numerose notizie sensazionalistiche – dalle acconciature imposte obbligatoriamente a Kim Jong Un che avrebbe ucciso la fidanzata e fatto sbranare lo zio da centoventi cani affamati – spiegando però che è abbastanza semplice smascherare le “bufale”: basterebbe risalire alla prima fonte. In molti casi si tratta di portali di propaganda sudcoreana o giapponese, paesi storicamente nemici della Corea Popolare, tuttavia anche le dichiarazioni dei “defector” scappati dal Nord vanno prese con estrema cautela, in quanto molti sono di loro diventati “testimoni di professione” disposti a raccontare qualsiasi cosa pur di fronteggiare difficoltà economiche. Il caso di Shin Dong-Hyuk, che recentemente ha ammesso di aver inventato parte della sua vicenda, è significativo.
Comunque sia, risalire alla fonte, con i mezzi odierni, è in molti casi davvero semplice: al fine di verificare l’attendibilità di una notizia – specie se dai toni sopra le righe – bastano pochi minuti per contattare il giornalista (o il fotografo) che per primo l’ha lanciata. E smentire, eventualmente, una bufala.