(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
A più di quattro anni dall’inizio delle insurrezioni popolari, la Libia assomiglia sempre più ad uno Stato fallito, divisa in entità in lotta fra loro, sede di infiltrazioni terroristiche di stampo jihadista, snodo del traffico di migranti verso l’Europa. E mentre la comunità internazionale cerca una mediazione tra le parti in causa, specialmente per respingere indietro la minaccia rappresentata dallo Stato Islamico (ISIS), l’ultimo tragico naufragio nel Mediterraneo solleva nuovamente la questione umanitaria al largo delle coste dell’Europa.
La mediazione delle Nazioni Unite
Nel caos libico, buona parte della comunità internazionale riconosce ufficialmente il governo di Tobruk ma esso ha un controllo limitato del territorio e, per questo, altrettanto limitata è la sua voce in capitolo sul tavolo delle trattative. La settimana scorsa ad Algeri, e poi in Marocco, hanno avuto luogo degli incontri tra le parti in causa per cercare di trovare una strada verso la tregua e ricostituire l’unità nazionale. Questi incontri sono avvenuti sotto la mediazione del Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite e Capo dell’UNSMIL, Bernardino Léon. Léon ha sottolineato che il successo dei negoziati dipenderà dalla capacità di coinvolgere più voci possibile ed ha ostentato fiducia, sostenendo di avere praticamente pronto un testo che possa trovare l’accordo delle parti in causa.
I Ministri degli Affari Esteri di Stati Uniti, Italia, Francia, Spagna, Germania e Regno Unito hanno rilasciato una dichiarazione congiunta auspicando un cessate il fuoco incondizionato. Il Ministro italiano degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni, ha sottolineato la cresciuta attenzione del G7 sulla questione libica e ha confermato che in particolar modo all’Italia spetti il compito di sensibilizzare la comunità internazionale e gli stessi Paesi del G7 sulle conseguenze di una perdurante instabilità in Libia.
Come combattere l’ISIS
L’assenza di truppe internazionali sul territorio libico ha contribuito alla frammentazione del paese e al crearsi di uno scenario che all’inizio della crisi nessuno auspicava. Al momento non vi è nemmeno piena unità nella comunità internazionale su cosa debba essere della Libia. Paesi come la Francia, ad esempio, non escludono del tutto l’ipotesi di una divisione della Libia, mentre l’Italia certamente è interessata a difendere l’unità nazionale che scongiurerebbe ulteriori tensioni sulla porta di casa.
La minaccia più seria per la sicurezza dell’Europa sembra rappresentata dall’ISIS, la cui propaganda, amplificata senza dubbio dai media occidentali, si è arricchita proprio la settimana scorsa di un video in cui veniva mostrata la decapitazione di 28 cristiani etiopi in Cirenaica. La questione libica è essenzialmente strategica, tuttavia la diversità di interessi tra gli attori internazionali coinvolti rischia di dilatare i tempi di una decisione e di aggravare ulteriormente lo stato delle cose.
In tale ottica le Nazioni Unite sembrano aver scelto per il tentativo di ricostituire l’unità nazionale per poi sconfiggere sul campo l’ISIS, ma in caso di fallimento dei negoziati potrebbe tornare in auge la soluzione inizialmente proposta dall’Egitto, cioè il sostegno al governo di Tobruk nella guerra civile per combattere l’ISIS rinunciando inizialmente a formare un governo inclusivo.
La questione umanitaria
Quando non si conoscono ancora, e forse mai si conosceranno, le esatte proporzioni di quanto accaduto il 19 aprile al largo delle coste libiche, quello che è certo è che l’instabilità della Libia costituisce un’emergenza umanitaria poiché alimenta un traffico di migranti che mette a rischio un enorme quantitativo di vite umane. Le crisi istituzionali sulle coste mediterranee generano questo flusso di migranti che l’Unione Europea, e in primis l’Italia, sono chiamate a gestire. Risolvere i problemi interni libici significherebbe molto probabilmente porre fine alle continue tragedie che da anni stanno trasformando il Mediterraneo in un mare di morte ma vi sono strumenti che possono tamponare temporaneamente la situazione.
L’Operazione Triton sta funzionando solo in parte e la riduzione di fondi nel passaggio da quella che era l’Operazione Mare Nostrum a quella attuale è la maggiore imputata per quello che sta accadendo. Ancora una volta, la mancanza di visione di una parte dei membri dell’Unione Europea rischia di compromettere il disegno comunitario. La prevalenza del metodo intergovernativo nelle decisioni politiche europee comporta inevitabilmente il prevalere di interessi particolari. L’Italia, porto naturale sul Mediterraneo, si trova praticamente sola ad assicurare la sorveglianza in mare e a gestire i primi soccorsi ad i barconi che provengono dalle coste africane, essenzialmente da quelle libiche.
Ci si chiede, a questo punto, se non sia anche il caso di costituire dei corridoi umanitari sotto l’egida delle Nazioni Unite con il compito di garantire ai migranti un transito senza pericolo verso l’Europa. Questo permetterebbe molto probabilmente la sorveglianza dei porti di partenza evitando l’infiltrazione delle organizzazioni criminali che su questi viaggi della speranza continuano a speculare. La Libia al momento rappresenta un vero e proprio bacillo in grado di contagiare l’Europa e bendarsi gli occhi non è la soluzione al problema. I libici e gli europei attendono che la politica faccia qualcosa.
Francesco Angelone
(Mediterranean Affairs – Editorial board)