L’obiettivo resta sempre lo stesso: abbassare l’età nella Pubblica Amministrazione, mediante la cosiddetta “staffetta generazionale” auspicata a più riprese dal ministro della PA Marianna Madia. L’ipotesi di “svecchiamento” dei ranghi ora passa da un emendamento a prima firma di Hans Berger, senatore del gruppo per le Autonomie.
Dopo che il primo progetto della Madia – basato sul prepensionamento con 1-2 anni di anticipo dei dipendenti statali, assumendo un nuovo dipendente ogni tre prepensionati e portando gradualmente alla staffetta di cui sopra – aveva suscitato le perplessità della Ragioneria di Stato, preoccupata per il possibile aumento dell’onere sulle spalle del sistema previdenziale, ora il nuovo emendamento sembra risolvere diversi problemi. E, da quanto anticipato dal quotidiano Il Messaggero, potrebbe ottenere il via libera del governo e del relatore della riforma, Giorgio Pagliari. Ma ciò potrebbe non bastare.
Pensioni statali: perchè la norma potrebbe rivelarsi un flop
Con la riformulazione in base all’emendamento in questione, non ci sarebbe più un vero e proprio premensionamento, bensì la possibilità per la PA di promuovere il ricambio generazionale mediante la riduzione “su base volontaria e non revocabile” dell’orario di lavoro e della retribuzione del personale vicino alla pensione.
La soluzione rappresenta un compromesso rispetto al precedente emendamento Berger – bocciato dalla ragioneria sempre a causa degli eccessivi costi per il bilancio dello Stato – in quanto l’invarianza della contribuzione previdenziale non sarebbe più garantita dallo Stato bensì da una “contribuzione volontaria ad integrazione”. Tradotto in parole semplici: dovrà essere il lavoratore che opta per la pensione anticipata a versare la quota restante di contributi. Un meccanismo che, se da un lato allieva il peso previdenziale sul bilancio statale, dall’altro difficilmente rappresenterà un appetibile incentivo per il lavoratore intenzionato ad optare per il prepensionamento.