Pena di morte Indonesia: martedì 28 aprile, le autorità indonesiane hanno eseguito la condanna alla pena di morte nei confronti di sette stranieri e un indonesiano, ritenuti responsabili di aver contrabbandato stupefacenti.
I condannati a morte
Ad affrontare il plotone di esecuzione sono stati due australiani, Andrew Chan, 31 anni, e Myuran Sukumaran, 33 anni, a capo dell’organizzazione nota come “i nove di Bali”, arrestati nel 2005 all’aeroporto di Bali, mentre tentavano di esportare in Australia circa otto chili di eroina. I due erano stati condannati alla pena di morte nel 2006, condanna alla quale avevano fatto seguito molteplici ricorsi, tutti infruttuosi. Da ultimo, la corte costituzionale indonesiana aveva ritenuto di esaminare l’ultimo ricorso il 12 maggio p.v. ma i due uomini sono stati fucilati prima della data fissata dalla corte.
Ad indossare la tuta bianca, simbolo dell’oltretomba, sono stati anche tre cittadini nigeriani, Sylvester Obiekwe Nwolise, 49 anni, Okwudili Oyatanze, 45 anni, e Raheem Agbaje Salami, tutti e tre condannati per traffico di eroina. Sono, inoltre, spirati sotto i colpi di fucile, Martin Anderson, 50 anni, ghanese (anche se, secondo le autorità di Giacarta, sarebbe cittadino nigeriano), Rodrigo Muxfeldt Gularte, 42 anni, brasiliano condannato nel 2005 per aver tentato di importare in Indonesia un consistente quantitativo di cocaina, e Zainal Abidin, indonesiano, inizialmente condannato all’ergastolo, poi tramutato in condanna a morte, per essere stato trovato in possesso di un quantitativo di marijuana pari ad oltre 50 chili.
Pene sospese
Sospese, invece, le condanne a morte per Serge Atlaoui, 51 anni, di nazionalità francese, ritenuto responsabile di traffico di stupefacenti, e Mary Jane Veloso, 30 anni, filippina, arrestata nel 2009 all’aeroporto di Yogyakarta (isola di Java) in possesso di oltre due chili di eroina.
Le pressioni internazionali
A nulla è servita la vigorosa campagna posta in essere dalla comunità internazionale, e, in particolare, dal Governo australiano, per salvare gli otto condannati a morte. Il Ministro degli Esteri australiano, Julie Bishop, aveva chiesto di sospendere l’esecuzione della pena nell’attesa che fosse raggiunto un verdetto in un procedimento parallelo per corruzione a carico dei giudici che avevano pronunciato la condanna a morte per i due cittadini australiani.
L’intransigenza di Giacarta
Il presidente indonesiano Joko Widodo, tuttavia, ha respinto le richieste di grazia presentate dai condannati e supportate dalla comunità internazionale. Si tratta di una linea intransigente, che dal 2013, ha riportato in primo piano il problema della pena di morte in Indonesia.
Le statistiche sulla pena di morte in Indonesia
Sebbene, infatti, la pena capitale sia prevista dalla legge indonesiana, dal 1998 al 2013 pochissime condanne a morte sono state eseguite dalle autorità di Giacarta. Solo nel 2013, onde combattere il fenomeno del contrabbando di stupefacenti, le esecuzioni sono riprese con rinnovato vigore.
Sebbene nel 2014 nessuna condanna alla pena capitale sia stata portata a termine, 19 persone sono state uccise dal 2013, di cui ben 14 solo nei primi mesi del 2015. Secondo Amnesty International, dal 2001 ad oggi, 40 condanne a morte sarebbero state eseguite in Indonesia.
La risposta del governo australiano
In risposta all’esecuzione dei due connazionali australiani, Tony Abbott, Primo Ministro australiano, ha richiamato in patria l’ambasciatore australiano in Indonesia “per consultazioni”, condannando l’accaduto. Avrebbe, inoltre, dichiarato che “la relazione fra Australia e Indonesia è molto importante, ma ha sofferto come risultato di ciò che è stato fatto nelle ultime ore”, sottolineando così la gravità dei fatti.
Precedenti crisi diplomatiche
Non si tratta dell’unica crisi diplomatica che Giacarta si è trovata a dover affrontare per effetto della sua intransigenza. L’esecuzione di un cittadino brasiliano, Marco Archer Cardoso Moreira, nel gennaio scorso aveva provocato forti tensioni tra l’Indonesia e il Brasile. Questa volta, le autorità brasiliane hanno cercato inutilmente di ottenere la conversione della pena capitale per Rodrigo Muxfeldt Gularte in reclusione in ospedale psichiatrico, a seguito della diagnosticata schizofrenia paranoide che affliggeva l’uomo. Peraltro, la legge indonesiana non consentirebbe l’esecuzione della condanna a morte nei confronti di individui affetti da patologie psichiatriche.
Le preoccupazioni per il rispetto dei diritti umani
Amnesty International, la nota organizzazione non governativa per la difesa dei diritti umani, ha condannato l’accaduto, criticando duramente l’Indonesia per la mancanza di garanzie procedurali e sostanziali a tutela del giusto processo e dei diritti umani, e ha richiamato il presidente Widodo sulla necessità di adottare una moratoria sulla pena capitale, come primo passo per giungere ad una sua abolizione incondizionata.
Le speranze degli altri condannati
Nel frattempo, possono sperare in un epilogo differente il francese Serge Atlaoui, per il quale l’esecuzione della condanna è stata sospesa per motivi non meglio precisati, sebbene un ruolo importante, anche se non determinante (essendo la Francia solamente il 18° partner commerciale dell’Indonesia), avrà sicuramente giocato il duro intervento del presidente francese Hollande, che avrebbe minacciato ritorsioni sul piano diplomatico, e la filippina Mary Jane Veloso, madre di due figli, la cui condanna sarebbe stata sospesa, in extremis, a seguito dell’intervento di una donna che, spontaneamente, avrebbe dichiarato di averla indotta a prendere parte al traffico di stupefacenti.
La notizia è stata accolta con entusiasmo e sollievo dalle autorità filippine. Il portavoce del dipartimento per gli affari esteri filippino, Charles Jose, avrebbe dichiarato di essere sollevato dalla sospensione della condanna. Manifestanti, all’esterno dell’ambasciata indonesiana a Manila, avrebbero salutato la notizia tra lacrime e abbracci, così come i familiari della Veloso.
La comunità internazionale, raccolta nel cordoglio per l’esecuzione degli otto condannati, adesso spera che non si sparga altro sangue.