Il commiato di De Bortoli: “Renzi? Un caudillo”
Ferruccio De Bortoli lascia dopo sei anni la direzione del Corriere della Sera (per la seconda volta, la prima direzione fu tra il 1997 e il 2003). Lo fa con un editoriale in cui ricorda i suoi inizi lavorativi in via Solferino “Il Corriere era stato il mio sogno giovanile, è diventato la mia casa, la mia famiglia”. De Bortoli definisce il Corriere un giornale “indipendente,aperto e onesto. Ha svolto il ruolo che compete a un grande organo d’informazione, orgoglioso dei suoi valori e di una storia di ormai 140 anni”. La sorpresa sta alla fine del breve commiato coi lettori e i giornalisti. De Bortoli attacca frontalmente il premier Matteo Renzi definendolo nell’ordine un “caudillo. un maleducato di talento, disprezza le istituzioni e non sopporta le critiche”. La chiusa non è da meno. E riguarda la legge elettorale in votazione alla Camera. “Personalmente mi auguro che Mattarella non firmi l’Italicum. Una legge sbagliata”.
Non è la prima volta che De Bortoli attacca Renzi. Già nel settembre 2014, in un editoriale apparso in prima pagina, l’ex direttore del Corriere della Sera criticava il modo di gestire il potere da parte del premier. ““Devo essere sincero – esordiva allora De Bortoli nel suo editoriale – Renzi non mi convince. Non tanto per le idee e il coraggio: apprezzabili, specie in materia di lavoro. Quanto per come gestisce il potere”.
De Bortoli, la lettera di addio
Devo ai lettori del Corriere , una meravigliosa comunità civile, un piccolo rendiconto della mia seconda direzione. Ho avuto l’onore di guidare questa straordinaria redazione per dodici anni complessivi. Un privilegio inestimabile. All’editoriale Corriere della Sera fui assunto, giovanissimo praticante, la prima volta nell’ottobre del ’73. La proprietà era ancora Crespi. I Rizzoli sarebbero arrivati l’anno dopo. Il Corriere era stato il mio sogno giovanile, è diventato la mia casa, la mia famiglia. Il rapporto di lavoro con gli editori pro tempore si conclude oggi, come è ormai noto da nove mesi. Il legame sentimentale con il giornale era e resta indissolubile.
Nell’aprile del 2009, al momento di assumere la seconda direzione, scrissi che il Corriere — lungo il solco della sua tradizione liberaldemocratica — ambiva a rappresentare «l’Italia che ce la fa». Credo che vi sia riuscito perché è stato indipendente, aperto e onesto. Ha svolto il ruolo che compete a un grande organo d’informazione, orgoglioso dei suoi valori e di una storia di ormai 140 anni. Ha dato spazio e rappresentatività a un’Italia seria, laboriosa, proiettata nel futuro e nella modernità. Il Corriere non è stato il portavoce di nessuno, tantomeno dei suoi troppi e litigiosi azionisti. Non ha fatto sconti al potere, nelle sue varie forme, nemmeno a quello giudiziario. Ha giudicato i governi sui fatti, senza amicizie, pregiudizi o secondi fini. E proprio per questo è stato inviso e criticato. Chi scrive ha avuto lunghe vicende giudiziarie con gli avvocati di Berlusconi, con D’Alema e tanti altri. Al nostro storico collaboratore Mario Monti — che ebbe, per fortuna dell’Italia, l’incarico dal presidente Napolitano di guidare il governo — non piacquero, per usare un eufemismo, alcuni nostri editoriali. Come a Prodi, del resto, a suo tempo. Pazienza. Del giovane caudillo Renzi, che dire? Un maleducato di talento. Il Corriere ha appoggiato le sue riforme economiche, utili al Paese, ma ha diffidato fortemente del suo modo di interpretare il potere. Disprezza le istituzioni e mal sopporta le critiche. Personalmente mi auguro che Mattarella non firmi l’Italicum. Una legge sbagliata.