De Mita, la politica come pratica quotidiana
Tra i leader della Prima Repubblica capaci di adattarsi meglio alla Seconda, Ciriaco De Mita è senz’altro il punto di riferimento massimo.
Giulio Andreotti, a parte qualche isolato endorsement (come per le politiche 2006 in cui invitò a votare An alla Camera e la rotondiana Dc Per le Autonomie – Nuovo Psi al Senato, o alle amministrative 2008 quando invitò a votare il duo Rutelli sindaco ed Antoniozzi presidente della provincia di Roma) ha sempre svolto un ruolo di arguto osservatore della vicenda istituzionale concedendo solo nel caso di Democrazia Europea di Sergio D’Antoni la possibilità di utilizzare il proprio nome.
Amintore Fanfani, per quanto diede una mano alla fondazione del Ppi, si limitò a votare le fiducie ai vari governi che passavano. Francesco Cossiga ebbe un ruolo di assoluto king-maker nella nascita del primo governo D’Alema, ma di fatto relegò (ed è un peccato) la guida dell’Udr a Clemente Mastella che ben prestò lasciò qualsiasi velleità bonsai da pentapartito per formare la sensibilità popolare all’interno del centrosinistra.
Per quanto riguarda Arnaldo Forlani invece letali furono gli interrogatori dipietreschi, che relegarono il pesarese al massimo a visitare in quanto ospite d’onore brevi mostre sulla Dc in Piazza di Pietra.
Ciriaco De Mita invece, il vero uomo di potere della Democrazia Cristiana degli anni ’80, possiamo ben dire che ha svolto una funzione prettamente politica in questi anni. Pur rinunciando ai grandi incarichi che lo vedevano duettare con Reagan sullo scacchiere internazionale, non ha mai smesso di pretendere cariche pubbliche e soprattutto di dire la sua sul proprio collegio e regione d’appartenenza.
De Mita nella Seconda Repubblica
Scioltasi la Dc, De Mita è stato ininterrottamente parlamentare fino al 2008 se escludiamo la legislatura dei governi Berlusconi e Dini. Passando per il Ppi, la Margherita e il Pd. Partito Democratico che però mollò dopo qualche mese dalla fondazione in quanto Walter Veltroni, spinto da un’enfasi rottamatrice ante litteram, chiese gloriosi passi indietro (Giuliano Amato ed Angelo Sanza ne sanno qualcosa). Il segretario dem provò a proporgli una qualche forma di risarcimento come la guida della Scuola Quadri del partito. Ma niente. Occorreva quel benedetto seggio. Altro che padri nobili, serviva praticare la politica ogni giorni, anche ad 80 anni suonati. Fu dunque celere il passaggio dell’esponente politico di Nusco dal Pd all’Udc, che lo candidò alla Camera sperando in molti consensi irpini.
Quelle elezioni però furono sostanzialmente più bipolari di altre: Bertinotti e la sua sinistra alternativa ritornarono nell’ovile dell’extraparlamentarismo, mentre il terzo polo casiniano per bocca del suo leader dichiarò “abbiamo retto la botta”. Ma non ci fu spazio per De Mita che attese fino al 2009, come del resto Mastella, per ricandidarsi alle europee. Questa volta coi voti di preferenza l’elezione nelle file dello scudo crociato non poteva che essere scontata.
Nel 2013 niente candidatura. Ma nelle file dell’Udc fu candidato il nipote Giuseppe, attuale deputato per il gruppo “Area Popolare”. Ciriaco aspettò invece la fine del mandato all’Europarlamento per proporsi come sindaco di Nusco. Venendo eletto trionfalmente.
Lo sgambetto a Caldoro
E’ di qualche giorno fa la notizia su De Mita che, dando vita ad un’azione politica ai limiti del regionalismo spiccio, non sosterrà Caldoro come il suo partito. Ma Vincenzo De Luca (forse perché ha più chance di vittoria e perché la Severino rischia di creare ammuina?). Di fatto in questo modo il gruppo di Area Popolare, nato dalla fusione parlamentare tra Ncd e Udc si sgretola in Campania. Attraverso il pensiero e l’azione politica di un uomo che ai giovani d’oggi potrebbe sembrare il classico politico locale fantasioso. Ma che in passato risultava essere l’uomo più potente d’Italia.
Una forma di perenne vittimismo, quasi una sorta di fatica alla Sisifo, che spinge alla politica ogni giorno a tutti i livelli. La politica come passione, ma anche come necessità. Non tanto la gloria, ma il godere della sua quotidianità e dell’onniscienza della propria pratica. Forse, un modo per distrarsi di fronte al trascorrere del tempo.