Matteo Salvini, un opportunista pericoloso
Oggi ho deciso di fare un giro per la pagina Facebook di Matteo Salvini: difficile esprimere la sensazione provata leggendo relativamente pochi post (sono andato a ritroso solo fino alle pubblicazioni del 2 maggio). A differenza di altri “bravi” populisti, Matteo Salvini non si limita a dare voce alla pancia della gente: egli ne stuzzica gli istinti peggiori, offrendo una versione semplificata e mistificata della realtà. È l’esempio “non separare il grano dal loglio” dà risultati perché il consenso si costruisce ben più facilmente aizzando le paure del popolo che proponendo ai cittadini soluzioni sistemiche ai problemi.
Chi segue Salvini non si cura né dell’incoerenza del personaggio né dell’assurdità del suo messaggio politico (estremista antieuropeo stipendiato dal Parlamento di Strasburgo dal 2004; cattolico tradizionalista divorziato con tanto di figlia fuori dal matrimonio; severo ed intransigente coi ladri di galline ma garantista e indulgente coi corrotti e concussi). Egli può così agevolmente scalare i sondaggi proponendosi come aggregante dell’alternativa di destra a Renzi e al Partito Democratico.
In Germania, in Francia, nel Regno Unito mai Sarkozy, Merkel e Cameron stringerebbero alleanze col Front National, Pegida e UKIP. Nemmeno l’autocrate ungherese Orbán scende tanto facilmente a patti con lo Jobbik. Forza Italia, invece, si allea, ancora, con la Lega Nord, dalla Liguria al Veneto, dalla Toscana alla Puglia. I sedicenti moderati non solo non lo contrastano; lo assecondano, rinunciando alla riorganizzazione di una vera forza liberale e conservatrice perché, parafrasando il Manzoni, se anche da quelle parti c’è del buon senso, se ne sta nascosto per paura del senso comune.
Salvini non è, in sé, pericoloso perché la Lega Nord s’è già rivelata il proverbiale cane che abbaia senza mordere. Da oltre vent’anni, i leghisti ingannano i propri elettori con le sparate più violente (quante volte Bossi è stato pronto ad imbracciare i fucili?) pur di avere quel consenso che permette, democristianamente, di conservare il potere, nelle amministrazioni locali e nelle partecipate, nelle Regioni e nei ministeri.
Il problema per la dialettica democratica della Nazione, però, rimane: dalla costante scintilla può divampare un incendio incontrollabile. Pensate che ne sarebbe stato del nostro Paese se, in tempi più bui di quelli attuali, mentre le brigate Rosse uccidevano magistrati, sindacalisti, giornalisti, professori e politici, mentre i gruppi neofascisti piazzavano bombe nelle banche, nelle stazioni e sui treni, i politici, di maggioranza e opposizione, avessero cavalcato le più torbide paure degli Italiani come fa oggi il segretario leghista.
Andrea Enrici