Giornalisticamente il nome è rimasto lo stesso, Italicum: così il 20 gennaio 2014 Matteo Renzi, ancora “solo” segretario del Pd, aveva suggerito di chiamare la formula elettorale uscita dal “patto del Nazareno”, “stipulato” direttamente con Silvio Berlusconi e i suoi plenipotenziari due giorni prima.
In tredici mesi e mezzo, però, di quel disegno è rimasto quasi solo il nome e la geografia delle forze a sostegno è profondamente cambiata. Vale la pena familiarizzare con la legge elettorale che verrà, cercando di capirne almeno in parte il meccanismo della riforma elettorale approvata alla Camera Lunedì 4 Maggio.
Italicum, come si cambia
Lo stesso canovaccio del 20 gennaio, in realtà, era già diverso rispetto alle prime bozze di accordo, con i cambiamenti raccontati di prima mano da quello che molti avevano considerato il “padre” dell’Italicum, Roberto D’Alimonte. Si è passati da un sistema spagnolo rigoroso, con distribuzione dal basso e molto tendente al bipartitismo (ma attaccato dai partiti minori e, probabilmente, anche dal Colle), a una formula proporzionale con premio di maggioranza (del 20%) che scattava solo se la lista o la coalizione più forte avesse raggiunto (all’unico turno di votazione) il 33%.
Si era poi ridotto il premio e aumentata la soglia (rispettivamente prima al 18% e al 35%, poi al 15% e al 37%), con l’importante novità dell’inserimento del turno di ballottaggio, in corrispondenza del “patto del Nazareno”. In quella fase, le liste (corte, da 3 a 6 nomi) da presentare in un massimo di 120 collegi erano ancora “bloccate” ed era previsto un sistema differenziato di soglie di sbarramento: 12% per le coalizioni, 8% per le liste non coalizzate, 4,5% per quelle coalizzate. L’ultima svolta a ottobre, quando Renzi ha chiaramente optato per il premio alla lista: a dicembre in Senato sono stati depositati gli emendamenti che recepivano quell’indicazione, introducendo anche i capilista bloccati, le preferenze (con clausola di genere) e lo sbarramento al 3%.
Seggi, circoscrizioni e collegi
In base al testo definitivamente approvato dalla Camera, il territorio italiano sarà suddiviso in 20 circoscrizioni (corrispondenti alle regioni), le quali saranno ulteriormente suddivise in 100 collegi plurinominali, ognuno dei quali metterà “in palio” da 3 a 9 seggi (in base alla popolazione risultante dall’ultimo censimento Istat). Quei 100 collegi – assieme a quelli uninominali delle circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige – serviranno ad assegnare 318 seggi della Camera dei deputati; gli altri 12 rimarranno legati alla circoscrizione Estero. Il disegno dei collegi spetterà al Governo (verosimilmente avvalendosi di un’apposita commissione) con un decreto legislativo da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore dell’Italicum.
Liste e candidature
Possono presentare liste, di fatto, solo i partiti e i gruppi organizzati che si sono dotati di statuto per atto pubblico, con i contenuti richiesti dal decreto legge n. 149/2013 (quello che ha sostituito i rimborsi elettorali con altre forme di finanziamento; lo statuto dovrebbe servire anche a dirimere eventuali contrasti sulla titolarità dei simboli). Ogni lista concorre per conto proprio, con un proprio programma e indicando il proprio “capo della forza politica”: non è più possibile stringere coalizioni con altri partiti o gruppi. Il capolista (“bloccato”, o “candidato di collegio”) dei singoli collegi è determinato dalla singola forza che presenta le liste.
Sono stati introdotti congegni di riequilibrio di genere: In ogni lista i candidati devono essere presentati in ordine alternato in base al sesso; in ogni circoscrizione “regionale” un sesso non può essere rappresentato tra i candidati in una quota superiore al 50% e tra i capilista in misura maggiore del 60%, in entrambi i casi a pena di inammissibilità. Viene limitato lo strumento delle “multicandidature”: i capilista possono essere candidati in un massimo di dieci collegi, ogni altro candidato può correre in un solo collegio.
Come si vota
La scheda elettorale contiene tanti rettangoli quante sono le liste che si presentano in un singolo collegio: ogni rettangolo ospita le generalità del capolista (“bloccato”), il simbolo di lista e due righe per il voto di preferenza. Si può votare solo per una lista (e automaticamente per il capolista) o attribuire anche le preferenze, una soltanto oppure due, purché in quest’ultimo caso i candidati votati siano di sesso diverso (pena l’annullamento della seconda preferenza). Non è consentito il voto “disgiunto”, dando la preferenza a una lista e a un diverso capolista, oppure a una lista e a candidati presentati da altri soggetti.
La formula elettorale
Si è parlato di sistema proporzionale corretto, ma probabilmente – come era stato per la legge n. 270/2005 – si è piuttosto di fronte a un nuovo sistema maggioritario con rappresentanza delle minoranze.
E’ previsto un premio di maggioranza di 340 seggi (il 55% dei seggi attribuiti in Italia) per la lista che al primo turno superi il 40%. Qualora nessuna lista arrivi a quel risultato, a distanza di due settimane si procederà al ballottaggio tra le due liste meglio piazzate: quella che prevale ottiene lo stesso premio di maggioranza. In caso di secondo turno, non sono ammessi apparentamenti delle due liste sfidanti con le forze escluse dalla competizione.
I seggi sono attribuiti su base nazionale (col metodo dei quozienti interi e dei più alti resti), prima alle singole circoscrizioni, poi collegio per collegio. Partecipano alla ripartizione dei seggi solo le liste che abbiano raggiunto o superato la soglia di sbarramento del 3% a livello nazionale (o che, rappresentando minoranze linguistiche riconosciute nelle regioni a statuto speciale, abbiano ottenuto almeno il 20% dei voti validi in quella circoscrizione). Una volta stabiliti i seggi spettanti alle liste nei vari collegi, sono proclamati eletti prima i capilista nei collegi vittoriosi, poi i candidati con il maggior numero di preferenze.
E se si vota troppo spesso (ammesso che si possa…)
Nella legge è scritto chiaramente che le norme viste «si applicano per le elezioni della Camera dei deputati a decorrere dal 1° luglio 2016». La disposizione è chiaramente legata alla riforma costituzionale che in Parlamento procede con il suo iter e il termine iniziale, pur nella volontà del legislatore di “mettersi avanti” sulla riforma elettorale, serve chiaramente a “dare il tempo” alle Camere di portare a termine entro quella data le letture prescritte.
Se questo è lo scenario “perfetto”, almeno nella mente dei promotori della nuova legge, occorre chiedersi cosa accadrebbe se qualcosa nel meccanismo si inceppasse. In particolare, si è detto che, se si dovesse votare dopo il 1° luglio 2016 ma senza che il percorso parlamentare delle riforme costituzionali sia completato, al Senato non potrebbe applicarsi la legge appena vista, ma solo ciò che è rimasto del vecchio Porcellum rimaneggiato dalla Corte costituzionale. Se invece già prima della metà del 2016 si andasse incontro a una crisi di governo così grave da non lasciare alternative alle elezioni anticipate, sarebbero addirittura due i rami del Parlamento da dover eleggere con il cd. Consultellum.
Si aprirebbero, però, due ordini di problemi. Il primo è piuttosto pratico: al momento, a Italicum non ancora entrato in vigore, la scheda elettorale da utilizzare sarebbe ancora quella del Porcellum, che non consente minimamente l’espressione della preferenza introdotta (in modo un po’ avventuroso) dalla Corte costituzionale. Essendo la scheda – o, meglio, il suo fac simile – un allegato a un d.P.R., per modificarlo ci vorrebbe una legge o un decreto legislativo (che a monte deve comunque presupporre una legge). Sarebbe questa la maggiore prova che la legge elettorale rimasta in piedi dopo l’intervento della Consulta non era in grado di funzionare senza interventi del legislatore; al Viminale, comunque, girano già da tempo i modelli di scheda con le righe di preferenza e c’è chi è pronto a giurare che, in caso di bisogno, si farà sempre in tempo a fare una correzione dell’ultimo, magari con un decreto ministeriale (logicamente non ha senso, ma i ben informati assicurano che è già successo).
Questo, però, sarebbe lo scenario più roseo. Non manca infatti chi tra gli studiosi ritiene che, in realtà, tra l’entrata in vigore della legge approvata oggi e il 1° luglio, ci sia un vero e proprio vuoto normativo. Perché – si fa notare – è pur vero che l’Italicum sarà efficace da luglio dell’anno prossimo, ma è anche vero che la legge, in realtà, entrerà in vigore a giorni (sempre che, ovviamente, il Presidente della Repubblica promulghi il testo), senza aspettare. Si avrebbe la situazione paradossale, per cui le norme dell’Italicum hanno abrogato esplicitamente o implicitamente le norme prima vigenti per le elezioni politiche, ma saranno applicabili solo dalla metà del 2016 e nulla si è detto su quali regole applicare nel frattempo. E se l’assenza di una legge elettorale applicabile fosse il miglior deterrente contro strani desideri di voto anticipato?