Il 7 maggio presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale si è tenuto il convegno internazionale dal titolo: “L’Italia e le sanzioni. Quando la geopolitica si scontra con i mercati. Quattro casi di studio per gli interessi economici italiani: Eritrea, Iran, Russia e Sudan“. Termometro Politico ne ha discusso con l’On. Adolfo Urso, Presidente di FareFuturo.
Perché un convegno su Italia e sanzioni internazionali in questo preciso momento?
Innanzitutto, perché è un momento importante, uno snodo fondamentale in merito alle sanzioni nei confronti di alcuni paesi per noi assolutamente strategici sul piano economico ma anche politico e culturale. In questi giorni, l’Unione Europea dovrebbe prendere ulteriori decisioni, purtroppo le previsioni sono negative, nei confronti delle sanzioni contro la Russia per l’intervento in Ucraina. Noi siamo il secondo partner commerciale europeo dopo la Germania. La Russia è stata mercato di sbocco prioritario di molte imprese del “Made in Italy” degli ultimi dieci anni.
Entro il mese di giugno si dovranno prendere decisioni in merito all’accordo tecnico, quello politico c’è già stato a fine marzo, sulla rimozione delle sanzioni nei confronti dell’Iran, paese per noi altrettanto strategico. Basti pensare che prima delle sanzioni l’Italia era il primo partner commerciale dell’Iran; oggi siamo precipitati, con una perdita di quasi 5 miliardi l’anno a fronte di altri paesi che o non applicano le sanzioni come la Cina o, se le applicano, sono capaci di aggirarle come la Germania e quindi abbiamo perso un’enormità, che potremmo recuperare, se agissimo in tempo, dopo la rimozione delle sanzioni, appunto, aspettando l’accordo di giugno
Abbiamo altri esempi meno significativi sul piano economico – ma altrettanto importanti sul piano culturale, politico, storico e anche per quanto riguarda il principale problema che ha l’Italia in questo momento: fronteggiare l’immigrazione dall’Africa – che sono le sanzioni nei confronti di due paesi dell’Africa orientale: il Sudan e l’Eritrea.
Pensiamo a cosa rappresenta l’Eritrea per l’Italia, l’Italia per l’Eritrea. Guardiamo al dramma di migliaia decine di migliaia centinaia di migliaia, si parla addirittura di milioni, di potenziali immigrati che muoiono, molti troppi dall’Eritrea, fuggendo da una terra che le sanzioni, ancorché limitate all’embargo sulle armi, hanno messo in una situazione di forte difficoltà, aggravando il fenomeno già esistente della migrazione, della fuga verso l’Europa
Per quello che ha deciso recentemente Obama su Cuba; mentre decideva di rimuovere le sanzioni, quindi di raggiungere un accordo con i fratelli Castro dopo 50 anni di tensioni, ha detto una cosa significativa: la politica delle sanzioni non ha portato a nessun risultato positivo. Questo ci fa pensare a come sia necessario, oggi più che mai, ripensare in generale la politica delle sanzioni.
Perché in alcuni casi, nel caso di Cuba – lo ha detto lo stesso Obama – non ha portato risultati significativi, in altri casi, pensiamo a quello della Libia o della Siria, i risultati sono stati drammaticamente negativi, in altri ancora, nel recente passato, pensiamo alla Serbia, si è poi dovuti intervenire militarmente, vuol dire che le sanzioni non hanno portato alcun effetto, se poi c’è stato un intervento militare.
In altri casi, hanno avuto qualche significato come per l’iran ma, oggi, abbiamo il dovere anche politico di raggiungere un accordo con l’Iran, perché con l’Iran fuori dalla comunità internazionale chi altri ci aiuta a risolvere il problema dell’Isis?
Per questo il convegno cade nel momento giusto per fare una riflessione tra diversi attori: i paesi interessati (Russia, Iran, Sudan e Eritrea) con i loro ambasciatori e ministri, il nostro governo rappresentato da Pistelli e da Della Vedova, ma anche economisti, diplomatici e le imprese perché in questo caso abbiamo guardato sotto l’ottica molto spesso misconosciuta delle conseguenze economiche delle sanzioni poste nei confronti di alcuni paesi per le imprese italiane; che è un’ottica parziale ma certamente importante in un momento di recessione economica del nostro paese.
Dunque, le sanzioni servono a evitare la prolificazione nucleare, oltre che violazioni dei diritti umani o annessioni illegali; ma in qualche modo sono un “sacrificio” per gli interessi italiani, sia economici sia diplomatici. Così come sono state ideate non funzionano…
Le sanzioni sicuramente svolgono una funzione di politica estera.
C’è chi dice che l’Europa, oggi, non avendo politica estera, non riuscendo a esercitare un ruolo in politica estera come Unione Europea, anche se dovrebbe esercitarlo, impiega, per pacificare la propria coscienza, le sanzioni, cioè lo strumento più semplice ma anche più inefficace per avere una politica estera. Quindi, talvolta, sono surrettizie della mancanza della politica estera ma comunque esistono, sono decise dalla comunità internazionale, non vanno contestate, ci mancherebbe altro.
L’Italia non può uscire dal novero delle potenze che partecipano a queste azioni internazionali per punire dei paesi o cercare di far cambiare decisioni che possono riguardare diritti umani, annessioni e tante altre questioni. Non mettiamo in contestazione la sanzione come tale, ancorché qualcuno e non a caso ha detto che la sanzione per l’Europa è un modo surrettizio per non fare politica estera
Però le sanzioni non sempre sono inefficaci, talvolta sono controproducenti. Sanzioni controproducenti, questo ne è il caso maggiormente emblematico, sono state varate, tra il 1935 e il 1936, contro l’Italia fascista per la guerra in Etiopia.
L’obiettivo era quello di indebolire il regime, il risultato è stato quello di rafforzare il consenso interno nei confronti del regime, di spingerlo, purtroppo, nelle mani della Germania nazista. Le conseguenze sono state drammatiche per l’Italia e per l’Europa, questo è un esempio storicamente dimostrato di politica della sanzioni non solo inefficace ma controproducente.
Un “effetto boomerang” non solo economico ma anche diplomatico…
Anche quelle contro Cuba, lo dice lo stesso Obama, sono state oltre che dannose controproducenti. Se Cuba ora è governata dal castrismo, è perché ci sono delle sanzioni che hanno motivato la crisi economica endemica di Cuba coprendola con un velo di patriottismo. Spesso le sanzioni sono inefficaci addirittura controproducenti, talvolta colpiscono le popolazioni locali, aggravano la situazione dei paesi africani, ancorché non siano rivolte ai settori umanitari.
Mettono in cattiva luce il paese, le imprese pensano di non potere agire in quel paese, lo abbandonano, il paese si impoverisce ancor di più e in queste condizioni aumenta l’emigrazione, la pressione nei confronti dell’Europa.
Detto questo, nessuno vuole mettere in discussione le sanzioni.
Ci siamo chiesti queste cose: come mai le sanzioni colpiscono più le imprese italiane che le altre? Perché le piccole e medie imprese non sanno che invece si può lo stesso operare in quei settori non limitati dalle sanzioni diversamente dalle grandi imprese tedesche e francesi; perché noi siamo più ligi di altri ad applicare le sanzioni rispetto alle imprese e alle istituzioni di quei paesi che invece trovano sempre forme per aggirarle? Servirebbe un maggiore supporto istituzionale?
Abbiamo proposto una task force che possa insegnare alle imprese come agire, non solo come “non agire”. Cioè, non solo indicare dove ci sono i semafori rossi da non oltrepassare, ma anche dove ci sono i semafori verdi, che si possono superare e così agire in settori non sanzionati nei paesi sanzionati.
Possono esservi diverse motivazioni; sta di fatto che, a dimostrarlo il caso iraniano su tutti, quando si applicano le sanzioni, quelle che ci perdono di più in Europa sono le imprese italiane. Quelle tedesche, francesi, inglesi in qualche modo riescono comunque a operare, chissà come mai, in quei paesi. Di più fanno partner internazionali aggressivi, che non applicano una politica sanzionatoria, come la Cina che ci scavalca e ci sostituisce in molti mercati.
Quindi, come agire affinché le sanzioni, quando vengono poste, non colpiscano le imprese italiane più delle altre e, una volta applicate, come dare modo alle imprese italiane di sapere in che modo agire comunque in quel paese. Agire affinché le imprese italiane, tanto più in una fase di recessione, paghino un prezzo meno alto, come lo hanno pagato gli operai e i lavoratori italiani.
La seconda questione è vedere come riuscire, nel “contesto dato-dovuto”, ad approfittare, a utilizzare al meglio la rimozione delle sanzioni contro l’iran, che noi auspichiamo, per riprenderci le posizioni che abbiamo perso.
L’abbiamo detto in questo meeting: l’Iran, paese di 80 milioni di abitanti ma sono 300 milioni gli abitanti dell’area regionale in cui l’iran ha una leadership significativa, può essere la nuova Russia per le imprese italiane. Tanto più se la Russia si chiude.
Ebbene la risposta è: sì. L’Iran può essere la nuova Russia per le imprese italiane; perché noi possiamo tornare a essere il primo partner commerciale dell’Iran.
In più speriamo che le sanzioni non diventino permanenti nei confronti della Russia. Questo non avrebbe proprio senso perché, se la Russia dovesse crollare per effetto indiretto ma devastante delle sanzioni – i segnali ci sono tutti: dalla caduta del rublo e del PIL, alla fuga dei capitali – se la Russia, effetto imprevedibile delle sanzioni, dovesse davvero crollare, dal punto di vista sociale ed economico, per noi sarebbe un dramma.
Non vorrei dire che la Russia potrebbe diventare una grande Libia; gli effetti devastanti che ebbe la caduta di Gheddafi li paghiamo ancora, noi, i libici e gli africani. Una nuova “guerra fredda” con la Russia, con la Russia indebolita sul piano economico e sociale, non più capace di svolgere un ruolo a livello internazionale, ci giova? Forse no, tanto più perché il nemico principale di tutti noi è un altro: è il fondamentalismo islamico.
Infine, è quello che ho sostenuto chiudendo il convegno, l’Italia è un paese accerchiato come non mai. Accerchiato dai conflitti nel Mediterraneo, pensiamo alla Siria, alla Libia, dal fondamentalismo islamico, che colpisce anche l’Africa sbocco per noi fondamentale, ma anche ad est sulla linea di frontiera con la Russia e la sua area. Se noi siamo accerchiati dai conflitti, siamo accerchiati dalle sanzioni. Ce lo possiamo permettere? Qual è il costo strategico per un paese che purtroppo è in recessione preso atto che l’italia non cresce più e occorre crescere all’estero, nei mercati vicini?
Ecco questa è la domanda finale: ce lo possiamo permettere di essere accerchiati dai conflitti, dalle sanzioni, dai flussi di immigrazione?
L’Europa deve avere una politica estera per evitare che ciò accada, sennò sarebbe davvero grave.
Ha rilevato l’importanza dei rapporti tra l’Italia e la Russia. L’Italia deve affermarsi in Iran e in qualche modo aspettare che si evolva la situazione della Russia?
Siamo uno storico partner commerciale degli iraniani, lo eravamo, perché siamo congeniali, compatibili per motivi storici e culturali. L’Iran è un partner fondamentale per sconfiggere il fondamentalismo islamico: l’Iran ha il nostro stesso obiettivo, sconfiggere il terrorismo islamico. Senza l’Iran non si può pacificare l’Afghanistan, non si può tenere a freno il Caucaso, non si può pacificare e salvare l’Iraq e la Siria. Il ruolo che sta svolgendo in tutta l’area è fondamentale e convergente con quello dell’Europa e dell’Occidente.
Non a caso, Obama punta a un accordo con l’Iran, perché gli serve un partner così, per pacificare l’area ed evitare nuovi conflitti.
L’Italia ha un duplice interesse: il primo è politico e strategico, come gli altri abbiamo la necessità di bloccare il fondamentalismo islamico e senza l’Iran non si riesce a farlo – noi siamo impiegati ancora in Afghanistan e in Libano, dobbiamo ricordarcelo – il secondo è quello di avere un nuovo grande mercato come quello iraniano, che è il mercato del futuro.
Tornare a essere, in quell’area, il primo partner commerciale potrebbe sostituire eventuali perdite sul fronte russo, che noi vogliamo scongiurare. Per questo chiediamo che l’Europa sia molto cauta nell’applicare gli interessi americani in quest’area strategica, che per noi è fondamentale, perché di questo si tratta.
È stato detto anche da persone autorevoli, persino l’ex Presidente della Camera e Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato Casini ha sostenuto che non possiamo essere così supini nei confronti dell’interesse americano, in un’area strategica di così grande interesse dell’Europa e dell’Italia.
La Russia è storicamente un partner politico ed economico dell’Italia e dell’Europa: sarebbe meglio tornare all’analisi di papa Wojtyla che diceva: “voglio un’Europa con due polmoni”; ecco, i due polmoni non possono essere l’uno contro l’altro armati.
È chiaro che le responsabilità sono russe, perché loro hanno violato i trattati internazionali in Ucraina, con l’annessione della Crimea “di fatto” annessione ancorché sia indipendenza. È pur vero che noi abbiamo fatto più gravi errori non comprendendo gli interessi russi in quest’area e puntando all’inclusione di alcuni di questi paesi nell’Alleanza Atlantica, che è apparsa una minaccia nei confronti della Russia.
C’è una riflessione comune per superare errori che sono stati fatti da entrambi in fasi diverse e trovare una via d’uscita, perché altrimenti avere anche il fronte dell’est sanzionato e in guerra, oltre a quello mediterraneo, è un lusso che l’Italia e l’Europa non si possono assolutamente permettere.
Quindi, l’Italia non cerca una strada autonoma, ma prova a far riflettere l’Europa…
L’Italia non ha e non vuole avere una strada autonoma.
L’Italia partecipa al consesso internazionale ai massimi livelli e deve rispettare le decisioni che essa stessa ha contribuito ad assumere. Però, può svolgere un ruolo fondamentale; lo ha svolto in questa fase nei confronti della Russia, insieme alla Germania, all’interno della comunità europea per dire: “cautela”, “moderazione”, troviamo una via d’uscita alla crisi che sia accettabile, rispettosa dei diritti umani, ma evitiamo di acuire il contrasto con un partner fondamentale per noi, prioritario non soltanto in termini economici ma anche in termini politici internazionali.
Proprio perché il mondo si è fatto complicato e difficile, i mari sono in tempesta e le foreste sono in fuoco attorno all’Italia e all’Europa, nell’est e nel sud, l’Italia deve partecipare, deve portare la sua voce, il suo interesse nell’Unione Europea.
E gli Usa cosa fanno, ascoltano?
Io ho molta fiducia in questo Obama che ha riscoperto una vena decisionista in politica estera.
La scelta su Cuba è stata intelligente. Quella sull’Iran è lungimirante, serve a rimediare a gravissimi errori compiuti nei mesi e negli anni scorsi. È evidente la sottovalutazione dello Stato Islamico, non lo avevano previsto gli analisti americani, o la destrutturazione di quello che è stato l’Iraq, con errori macroscopici.
Ho fiducia nel fatto che la nuova politica del Presidente americano possa contribuire a rasserenare l’area.
Anche il governo italiano, molti dei nostri ministri a cominciare dalla Bonino, sono andati in Iran a dire che noi siamo con loro nell’auspicare che si trovi una soluzione negoziale che consenta la rimozione delle sanzioni. Quello è un ruolo che l’Italia può e deve svolgere in sintonia con i nostri partner europei.
Gli Usa fanno i loro interessi. Lo hanno fatto in quell’area strategica senza curarsi troppo delle conseguenze. Ora ne stanno pagando anch’essi le conseguenze e lo hanno fatto, ricordo il caso della Georgia, come quello dell’Ucraina, senza preoccuparsi troppo; ovviamente non hanno interesse che ci sia un frontiera calda nella nostra frontiera orientale.
L’Europa ha bisogno di avere una politica estera che non deve essere per forza supina di quella degli Usa, che è un alleato che noi rispettiamo, che è fondamentale per la difesa della libertà e dei diritti nel mondo, ma anche un “alleato”. Deve ascoltare anche la nostra voce e i nostri interessi.
Credo che agli Usa interessi un’Europa forte, non debole, e all’Europa interessi un’Italia che si faccia ascoltare nei propri interessi. Altrimenti rischiamo di diventare noi il ventre molle di un’Europa che, a sua volta, è il ventre molle dell’Occidente.
Intervista a cura di Guglielmo Sano per Termometro Politico