Quello capitato a Romelu Lukaku nella partita Cagliari-Inter di domenica scorsa continua a far discutere. E di certo non ha fatto da paciere la curva interista, che con la sua lettera destinata all’attaccante belga non ha fatto altro che aumentare ancora di più le polemiche.
Sul caso Lukaku, è intervenuto anche il difensore francese ex Parma e Juventus Lilian Thuram, impegnato da tempo nella lotta contro il razzismo che, in un’intervista rilasciata in esclusiva al Corriere dello Sport, si è sfogato contro chi vede ma non fa nulla per risolvere il problema.
Le parole di Thuram
“Cosa possono imparare se da tanti anni si parla e non si fa niente? Per imparare bisogna muoversi, prendere delle decisioni per risolvere il problema. Se non viene fatto niente, si dà il diritto di continuare a chi si comporta in un certo modo. Chi comanda evidentemente non considera gravi i “buu” e il razzismo. C’è tanta gente che parla, sottolinea la necessità di cambiare e poi non fa niente. E per me chi non fa niente, vuol dire che è d’accordo con quelli che fanno “buu”. In Francia per esempio gli arbitri interrompono le partite in caso di atteggiamenti contro l’omosessualità sugli spalti: sospendere la gara e mandare le due formazioni negli spogliatoi vuol dire educare la gente. In Italia non mi ricordo di prese di posizione così forti“.
Non è comunque facile cambiare il trend, anche e soprattutto al di fuori del mondo del calcio: “Quando si parla del razzismo bisogna avere la consapevolezza che non è razzista il mondo del calcio, ma che c’è razzismo nella cultura italiana, francese, europea e più in generale nella cultura bianca. I bianchi hanno deciso che sono superiori ai neri e che con loro possono fare di tutto. È una cosa che va avanti da secoli purtroppo. E cambiare una cultura non è facile“.
Per Thuram esiste tanta ipocrisia: “Da quanti anni ci sono questo tipo di reazioni dopo fatti simili? Alla fine tutti pensano che sia una cosa grave, ma una soluzione va ancora trovata. Se per tanti anni ne parla, ma non si riesce a fare niente, vuol dire che c’è un’ipocrisia tremenda e che manca la volontà di risolvere il problema. Tutti dicono “Facciamo qualcosa”, ma nessuno fa davvero qualcosa. E i razzisti credono di avere ragione“.
La lotta a questi episodi deve partire dalle società: “I club devo sentirsi responsabili per quello che succede perché certi episodi si verificano dentro uno spazio chiuso, ovvero uno stadio. E quando dico responsabili, non intendo colpevoli. Le società devono dire: “Noi siamo responsabili. Cosa possiamo fare?”. Se ammetti di essere responsabile è un buon inizio perché non succeda più, se invece nessuno si sente responsabile…“.