Puntualmente ritorna. Il dibattito sul reddito di cittadinanza è di nuovo nelle cronache dei media dopo la proposta del Movimento 5 Stelle e la Marcia Perugia Assisi fatta per sponsorizzarla.
Tuttavia a tornare è anche la mancanza di chiarezza prima di tutto sulla terminologia: il reddito di cittadinanza è un sussidio concepito a favore di tutti, a prescindere cioè dalla situazione di reddito e patrimoniale, percepito solo per il fatto di essere cittadino di uno Stato. Infatti ormai i proponenti più di sinistra parlano di reddito di base per non escludere, ad esempio, gli stranieri residenti: come il professor Fumagalli dell’università di Pavia che propone un reddito di base individuale non legato a versamenti contributivi o alla ricerca di lavoro che costerebbe, come nuove risorse aggiuntive, oltre a quelle già ora usate per sussidi di disoccupazione o per la cassa integrazione, circa 15 miliardi. Senza tuttavia contare il disincentivo al lavoro di un sussidio come quello immaginato, cioè sui 760€, che renderebbe non desiderabile lavorare per una cifra pari o anche poco superiore, questione che lo stesso Fumagalli non nega denunciando la necessità di slegare il reddito, che dovrebbe spettare di diritto, dal lavoro, oramai divenuto solo sfruttamento e non opera di realizzazione della persona.
Questa visione tuttavia è minoritaria e popolare solo nelle frange della sinistra più radicale: quello che il M5S propone, pur nella confusione delle varie vesti che la proposta ha assunto nel corso del tempo (dai 1000€ della campagna elettorale 2013 agli attuali 780€), è di fatto un reddito minimo garantito, questo sì presente in quasi tutta Europa, anche se in forme molto diverse tra loro. Vediamo come:
Germania: esiste l’Hartz IV, che viene erogato a chi non ha diritto a un sussidio di disoccupazione, o perchè non ha mai lavorato, o perchè è scaduto l’anno del sussidio.
– esso corrisponde a 399 euro mensili, i quali devono coprire tutte le spese mensili di una persona con l’eccezione di affitto e riscaldamento, pagati dai comuni di residenza. Un beneficiario di Hartz IV con figli riceve un importo aggiuntivo compreso tra i 234 e i 320 euro;
– Hartz IV è un assegno che viene vincolato alla ricerca di lavoro, e i beneficiari sono sottoposti a controlli costanti che possono portare a corpose riduzioni dell’erogazione nel caso in cui si accerti la volontà di non trovare una nuova occupazione. In Germania più di 4 milioni di persone, il 7,5% della popolazione, riceve Hartz IV;
Regno Unito: qui il sussidio si chiama Jobseeker Allowance e, cosa indicativa, viene percepito anche da chi non ha mai lavorato.
– si tratta di un versamento di 102€ a settimana percepito da coloro che sono sopra i 25 anni e di 160,5€ per le coppie; non si deve avere, altro fatto da sottolineare, più di 16 mila sterline di risparmio da parte (ovvero 22.360€);
– A ogni persona è affidato un coach con cui stendere un piano dettagliato di ricerca del lavoro, da rispettare specificando le ore giornaliere dedicate alla ricerca e le domande mandate. Inoltre ci si deve presentare periodicamente – ogni due settimane minimo – al Job Center per una verifica. Il sussidio viene annullato se non ci si presenta per un report, non si compare a un colloquio o si rifiuta un lavoro;
Francia: si tratta del Paese più generoso: qui è in vigore il Revenu de solidarité active (RSA), il reddito di solidarietà attiva.
– L’importo di riferimento per un persona single senza bambini è 510 euro al mese, che salgono a 916 euro al mese per chi ha 2 bambini. Vi è poi un sussidio per l’abitazione. Circa 2,3 milioni di francesi ricevono il RSA, un terzo dei quali come supporto al loro reddito troppo basso. In questo caso la prestazione sociale si calcola come differenza tra la retribuzione effettivamente percepita e il salario minimo garantito per legge, che in Francia è particolarmente alto, cioè di poco inferiore ai 1500 euro;
– Il beneficiario si deve impegnare a cercare un lavoro o a seguire dei corsi di riqualificazione, e può subire riduzioni o l’annullamento del RSA se non si impegna in queste attività. In generale comunque qui le regole paiono meno rigide che in Inghilterra e in Germania.
Considerando che questo reddito minimo è di 719€ persino in un Paese dall’altissimo costo della vita come la Danimarca, i 780€ proposti dal M5S appaiono come tra i più alti di tutta Europa.
In Francia il RSA costa 13 miliardi annui, ma consideriamo che a fronte di una crescita economica analoga (leggermente superiore, ma più grande è anche il deficit), in Italia vi è un 10% in meno di occupazione, e quindi gli inattivi e i disoccupati tra i 20 e i 64 anni – i potenziali beneficiari di questo reddito minimo garantito – sarebbero più del 40% contro il 30% francese.
Vediamo infatti qui di seguito gli ultimi dati Eurostat che mostrano come l’Italia sia tra i Paesi con più persone non occupate:
E’ quindi assolutamente comprensibile che i costi sarebbero maggiori nel nostro Paese: una stima, diciamo ottimistica, è che tutto questo andrebbe a costare allo Stato italiano ben 17 miliardi.
Ricordiamo che, quando in seguito alla sentenza della Consulta sulla rivalutazione delle pensioni, si è cominciato a ipotizzare cifre simili è subito scattato l’allarme sulle possibili coperture: esse, al di là delle solite voci poco realistiche (tagli ulteriori alla difesa, costi della politica, evasione fiscale), insufficienti ma popolari, sarebbero da trovare rompendo coalizioni di lobbies molto potenti, prima fra tutte quelle dei pensionati.
A prescindere comunque dalle questioni monetarie, da un punto di vista operativo vi sono altre difficoltà e controversie che interessano già quei Paesi in cui si applica il reddito minimo e che da noi sarebbero amplificati:
– I 780€ sono molto alti considerando i salari offerti soprattutto ai giovani, oltre che un fortissimo incentivo a non lavorare. Diventa quindi fondamentale verificare quanto forti siano i controlli per monitorare l’accettazione delle offerte di lavoro dai beneficiari: già ora per l’Aspi i centri provinciali per il lavoro richiedono l’iscrizione e sulla carta possono interrompere l’erogazione in caso di non accettazione di una offerta, solo che il loro funzionamento è inesistente. Anche in Germania prima delle riforme del 2003 i comportamenti opportunisti, che mantenevano alta la disoccupazione, erano la norma soprattutto a Berlino e nell’Est.
– Un funzionamento come quello ipotizzato tramite l’integrazione di un lavoro che si accetti fino a raggiungere i 780€ sempre e in ogni caso è comunque disincentivante per il lavoro, al contrario del sistema francese che prevede un’integrazione, pur minore, anche per chi prende un salario inferiore a quello minimo; tale sistema prevede che il reddito totale salga con l’aumento del salario. Non succederebbe in Italia se il sussidio diminuisse al crescere del reddito: in questo caso se a un guadagno di 100 euro in più corrisponde una riduzione del sussidio di 100 euro vuol dire che l’aliquota marginale è del 100 per cento. Per esempio se da un lavoro da 400€ mensile si passa a uno da 500€ il totale sarebbe sempre 780€, non un grande affare.
– Tanti datori di lavoro opportunisti, che come accade in Francia tendono ad offrire lavori part time fittizi anche se nella realtà sono a tempo pieno, potrebbero in questo modo pagare una parte del salario tramite il reddito minimo garantito Tutto ciò a carico del contribuente e inoltre con lo svantaggio per il lavoratore di ricevere meno ferie e contributi.
Nonostante tutti questi problemi – che vanno dall’inefficienza dei centri per il lavoro, all’ opportunismo al disincentivo al lavoro – è comunque giusto affrontare tale questione nella consapevolezza che in Italia essi sarebbero maggiori. Non è però evidentemente possibile continuare con un sistema di welfare mirato solo alla conservazione del posto per chi ha un lavoro dipendente – ovvero una minoranza della popolazione – come accade ora con la Cassa Integrazione, e milioni di persone escluse da ogni tipo di intervento.
Come abbiamo visto anche recentemente appaiono molto più efficienti i sistemi in vigore in Gran Bretagna o Germania, paesi che in questi ultimi anni hanno assistito a un crollo della disoccupazione e soprattutto a un deciso aumento dell’occupazione che ha superato il 70% tra i 20 e i 64 anni mentre l’Italia è ferma al 59%. Si tratta di meccanismi, quelli utilizzati nei due Paesi, che scongiurano il timore principale, cioè quello che interesserebbe soprattutto l’Italia: il disincentivo al lavoro. Questo sempre dando per scontato che alla fine quello che più importa è la crescita dell’economia.