Yemen: tra riequilibrio di poteri e scontri religiosi
A sud ovest della Penisola Arabica sorge lo Yemen, un piccolo Stato povero dilaniato dalle annose contrapposizioni religiose e politiche. Fino al 1990, è stato diviso, a nord, in Repubblica Araba dello Yemen sotto il regime autoritario di Saleh e, a sud, in Repubblica Democratica Popolare dello Yemen dove è stato instaurato un regime marxista.
Dal 22 gennaio di quest’anno, lo Stato è sprofondato in una guerra fratricida causata dalla presa di potere del gruppo zaydita degli houthi, che hanno costretto il Presidente Abd Rabbih Mansur Hadi a riparare prima ad Aden, dichiarata capitale provvisoria dello Yemen, e successivamente a Riyadh in Arabia Saudita.
Yemen: un conflitto che viene da lontano
Per cercare di comprendere l’attuale situazione yemenita è necessario tornare indietro nel tempo sino al 2011, anno della Primavera Araba. La rivoluzione popolare yemenita del 2011 ha portato alla deposizione del Presidente Ali Abdullah Saleh, in carica dal 1978, dapprima come Presidente della sola Repubblica Araba dello Yemen e, dopo il 1990 (anno dell’unificazione dello Stato), dello Yemen unito.
Dopo le rivolte del 2011, il Consiglio di Cooperazione del Golfo ha tentato di mettere fine al malcontento dilagante nel Paese, convincendo Saleh ad abbandonare la presidenza e garantendogli in cambio l’immunità da tutti i processi a suo carico. In seguito al risultato delle elezioni presidenziali svolte il 21 febbraio 2012, Abd Rabbo Mansur Hadi ha ottenuto la vittoria: come il suo predecessore, gode della protezione politica dell’Arabia Saudita, sempre più interessata ad avere un suo “fantoccio” nello Yemen in grado di contrastare Al Islah, il partito dei Fratelli Musulmani, oltre che i ribelli houthi (fazione dell’Islam sciita) ed il loro miliziani del gruppo Ansarullah.
Al momento delle elezioni, maggioranza ed opposizioni hanno visto in Hadi (unico candidato alle presidenziali del 2012) la sola personalità politica in grado di garantire l’unità nazionale yemenita fino alla riforma costituzionale del 2014 che avrebbe dovuto allargare la presenza degli sciiti (di cui gli houthi fanno parte) in parlamento.
Secondo molti analisti politici, l’incancrenimento del malcontento sciita verso il Governo di Hadi è da ricercarsi proprio nella mancata attuazione di quelle tanto agognate riforme che avrebbero dovuto garantire una migliore rappresentanza parlamentare di tutte quelle minoranze che, durante il regime di Saleh, erano state emarginate ed oppresse.
In questa già precaria situazione economica e politica, nel mese di settembre 2014 i ribelli houthi hanno imposto il proprio controllo su quasi tutta Sana’a, capitale dello Yemen, costringendo poi il Governo a dimettersi nel gennaio 2015.
Yemen: la situazione attuale
La causa scatenante l’escalation di violenza è rinvenibile nel sequestro del 17 gennaio di Ahmed Awad bin Mubarak, capo di gabinetto di Hadi ed autore del progetto di federalizzazione dello Yemen, al quale i ribelli houthi si sono fortemente opposti ritenendo che esso operasse una ripartizione tra regioni ricche e povere del Paese. In modo specifico, questo progetto prevedeva la divisione del territorio yemenita in sei circoscrizioni federali (Tahamah, Azal, al-Janad e Shaba nel Nord e Aden e Hadramawt), mentre alla capitale Sana’a veniva riconosciuto lo statuto speciale.
Nel quadro della situazione yemenita, un ruolo molto importante è giocato da agenti esterni al Paese che, attraverso aiuti militari e finanziari, hanno influenzato l’andamento della guerra civile.
A ben vedere, infatti, il colpo di Stato degli houthi ha scatenato la reazione bellica di ben 10 Stati arabi capeggiati dall’Arabia Saudita, che hanno dato il via alla campagna di raid aerei sullo Yemen denominata “Firmness Storm”. L’intervento armato a comando saudita, fortemente sostenuto dagli Stati Uniti, è stato messo a punto per sostenere il Governo sunnita di Hadi ed evitare, di conseguenza, che la minoranza sciita degli houthi potesse affermare la sua supremazia nel Paese creando dunque un alleato all’unica potenza sciita della regione, ovvero l’Iran.
Infatti, sebbene gli houthi abbiano sempre negato di aver ricevuto degli aiuti finanziari e militari da parte dell’Iran, i funzionari della sicurezza yemenita hanno ritenuto, invece, che il Governo iraniano abbia fatto arrivare via mare degli armamenti ai ribelli zayditi e che un gran numero di loro siano stati addestrati direttamente dalle forze Quds, forze speciali delle Guardie Rivoluzionarie con il compito di diffondere le idee della Rivoluzione iraniana all’estero.
Inoltre, nei mesi precedenti, l’Iran ha posto a presidio dell’area yemenita alcune unità navali della propria marina militare nel Golfo di Aden, dove erano già presenti i cacciatorpediniere Sherman e Churchill, due dragamine (Sentry e Dextrous), tre navi per operazioni anfibie, due rifornitori e un cargo d’appoggio della U.S. Navy.
Le ragioni che rendono lo Yemen così importante per alcuni Paesi arabi e per gli Stati Uniti sono varie. In particolare, dal momento che lo Yemen è un “failed State”, privo cioè di una stabilità economica e politica, è una terra vergine sulla quale le contrapposte fazioni sunnite (Arabia Saudita) e sciite (Iran) possono giocare un’importante partita per il controllo del territorio. Inoltre, la posizione geografica dello Yemen, che ha l’affaccio diretto sullo stretto di Bab el Mandeb, importante canale tra il Mar Rosso ed il Golfo di Aden, oltre che fiorente via commerciale per gli scambi petroliferi, è un’altra delle principali ragioni che spiegherebbe anche l’interesse degli Stati Uniti.
Secondo alcuni analisti, se Hadi venisse definitivamente deposto, l’esecutivo di Washington perderebbe un ottimo alleato nella battaglia conto il terrorismo che, sinora, hanno potuto portare avanti indisturbati, continuando a bombardare con i droni le postazioni di Al Qaeda presenti nel sud del territorio yemenita.
Alla luce delle suddette considerazioni, è difficile prospettare delle possibili evoluzioni della situazione yemenita, dal momento che la stessa deve essere inquadrata in un ben più ampio riequilibrio di forze ed alleanze che sta interessando tutta l’area del Medio Oriente e del Nord Africa. Restano abbastanza difficili le trattative fra i ribelli sciiti ed i membri dell’ex Governo, volte alla ricerca di accordi interni necessari per portare il Paese fuori dalla guerra civile.
Giorgia Durante