Al reddito di cittadinanza prima o poi ci si affeziona, e infatti ora piace un po’ a tutti. Persino a Stefano Fassina, che circa un anno e mezzo fa definì il disegno di legge del Movimento Cinque Stelle un concentrato di “super balle”. In un’intervista rilasciata lunedì scorso al Gr1, l’esponente della minoranza dem – che attualmente sta con un piede e mezzo fuori dal Pd, pronto a seguire le orme di Pippo Civati – ha detto: “Credo che ci siano tutte le condizioni per trovare unità su una proposta di reddito di inserimento. Certo, è utile confrontarsi ma oggi la priorità è evitare che l’intervento del governo sulla scuola aumenti la disoccupazione e faccia arretrare la scuola”.
Per Fassina “il punto fondamentale, oltre le risorse, è fare in modo di cambiare anche la politica economica del Paese”. All’appello di Vendola per far approvare il reddito minimo Fassina quindi dice “sì, ma l’obiettivo dev’essere quello di un lavoro di cittadinanza. Quindi il reddito minimo, di cittadinanza o di inserimento, come lo vogliamo chiamare, dev’essere uno strumento che aiuta, ma non che ci fa rinunciare al lavoro”. Insomma, sul nome ci si potrà pure mettere d’accordo, ma Fassina oggi ha una certezza: “La proposta del M5S va nella direzione giusta”. Reddito, reddito, fortissimamente reddito.
Le vecchie dichiarazioni di Fassina sul reddito di cittadinanza
E dev’essere sicuramente un omonimo dell’attuale esponente Pd, quel viceministro all’Economia del governo Letta che nel novembre del 2013 irrideva Beppe Grillo e la sua proposta di reddito di cittadinanza.
“Le balle di Grillo sono sempre più grosse. Il nuovo che avanza”, sferzava quel Fassina. Impossibile, secondo l’allora viceministro, reperire i fondi necessari a realizzare la proposta dei Cinque Stelle, anche nella più generosa e fantasiosa delle valutazioni.
L’idea di “un reddito di cittadinanza di 600 euro al mese per tutti coloro che siano disponibili a lavorare e un’integrazione al reddito fino a 600 – sì, all’epoca si parlava di 600 euro a fronte dei 780 attuali – per le pensioni e le indennità di importo inferiore”, per quel Fassina (non quello di adesso) era poco più di una balla.
“Il costo complessivo – rilevava il viceministro all’Economia – supera, secondo le valutazioni più prudenti, i 30 miliardi di euro all’anno. La cosiddetta ‘copertura’ arriverebbe dal taglio delle pensioni d’oro, dall’Imu sui beni della Chiesa e dal taglio delle spese militari. La prima voce, anche nell’ipotesi di considerare ‘d’oro’ le pensioni superiori a 3.500 euro netti mensili, implica risparmi di alcune centinaia di milioni di euro all’anno”.
“L’eventuale Imu sui beni della Chiesa utilizzati per attività miste – proseguiva Fassina, nel suo certosino lavoro di debunking – porterebbe un gettito aggiuntivo di alcune decine di milioni di euro all’anno. Infine, l’azzeramento delle spese militari, non soltanto gli F-35, ma tutto proprio tutto, a parte il ‘dettaglio’ dell’impossibilità di utilizzare risorse in conto capitale per finanziare spesa corrente, libererebbe circa 3,5 miliardi all’anno”. “In tutto, in una generosissima valutazione, intorno a 4 miliardi disponibili soltanto per alcuni anni. Un decimo di una prudente previsione di spesa”.
Insomma, per il Fassina di allora – non quello di adesso, folgorato sulla via di Assisi – “il livello di demagogia nella discussione pubblica di proposte economiche è sempre più alto. Grillo supera tutti, impresa non facile dati i competitor in campo”. Non facile, ma di certo non impossibile.