Fitto, tu vuo’ fa il conservatore
Vari sono stati nel corso degli anni i tentativi di dar vita in Italia ad una destra deberlusconizzata. Se escludiamo la vicenda leghista del 1994 (che tra l’altro portò alla nascita della lealista Lega Italiana Federalista…e comunque la Lega Nord allora non era una forza politica prettamente di destra!) il primo a mollare Berlusconi fu Casini. Forse nessuno dei due era consapevole che la rottura del 2008 avrebbe sancito la fine definitiva di qualsiasi alleanza tra due dei perni della coalizione di centrodestra dalla discesa in campo (per quanto alle politiche del ’94 il Ccd non si fosse presentato col proprio simbolo della vela nella quota proporzionale). Senz’altro però si trattò di un addio legato non a motivazioni politiche, ma simboliche.
Poi venne Fini. Che ebbe senz’altro coraggio, ma si trovò ad essere apostrofato dal “camerata” Ciarrapico con un “chi ha tradito una volta, ha tradito per sempre”, manco fosse Marlon Brando ne Il Padrino. Fini e la sua Fli ballarono una sola estate, come in quel vecchio film svedese. Poi venne il 14 dicembre del 2010. L’illusione di un terzismo possibile nel 2012 fino allo 0.4% del 2013 (letale con l’Udc sotto il 2%).
Poi venne Alfano. Paradossalmente dotato di spalle più forti di Fini detenendo una rappresentazione governativo-ministeriale e serbatoi elettorali (la Sicilia e l’ala Ciellina della Lombardia) a differenza di Fini (che deteneva solo la sua leadership come fondamento di Fli). In questo caso la strada è ancora da battere, ma l’enfasi con cui il ministro degli interni e Maurizio Lupi ballano “Happy” non fanno ben sperare.
Ed oggi arriva Fitto. Se ragionassimo secondo una visione Underwoodiana della politica, potremmo dire che Fitto ha dato vita ad un’operazione politica ben più congegnata rispetto ai precedenti finiani ed alfaniani. Raffaele Fitto, il Richard Nixon di Maglie, si trova nella paradossale situazione di essere stato lanciato come leader in pectore in funzione filo-berlusconiana: era il 2013 e l’atteggiamento del governo nei confronti dell’imminente decadimento di Berlusconi da senatore non faceva ben sperare lo stato maggiore pidillieno.
Nacquero dunque istanze movimentiste in seno al centrodestra tese a colpire il governo Letta. Alfano in questo quadro rappresentava la sensibilità opposta: il centrodestra di governo. Occorreva lanciare timidamente un potenziale competitor di Alfano, giovane quanto lui e senza procedimenti giudiziari (sic) capaci di privarlo dell’agibilità politica. Ecco dunque Raffaele Fitto, un anno più anziano di Alfano e suo collega nel IV governo Berlusconi come ministro degli affari regionali.
Poi cambiò la fase politica. Venne il Patto del Nazareno e Berlusconi, anche se questa volta all’opposizione, sposò un atteggiamento di dialogo nei confronti del centrosinistra. Fitto rimase coerente con la sua impostazione: lotta dura e senza paura. E qui inizia la sua operazione politica. Si discosta da Berlusconi, rinuncia al seggio parlamentare per contarsi col voto di preferenza alle Europee. Nasce una competizione con Toti. Prende una valanga di preferenze. Poi teme che Berlusconi voglia segare i suoi candidati dalle liste per il consiglio regionale della Puglia. Riesce dunque a convincere Schittulli (il candidato di Berlusconi) che sotto sotto lui è un fittiano.
Berlusconi non sa cosa fare. Ripesca la Poli Bortone (un grande classico per lo schieramento terzista alle regionali pugliesi) ma senza consultare Fratelli d’Italia (che dunque espelle la Poli Bortone dal suo partito di provenienza). Il tutto in un quadro in cui Fitto moralmente si galvanizza essendo morto il Patto del Nazareno.
L’incognita dei conservatori europei
Oggi Fitto annuncia l’ufficiale abbandono di Forza Italia utilizzando come collante ideologico la contrarietà alla linea del Ppe e il sostegno alla famiglia conservatrice. A breve sono previsti lancio del nuovo partito e la nascita di nuovi gruppi. Resta comunque un dilemma su questa adesione dei fittiani allo schieramento conservatore europeo: se i conservatori britannici (come Legge e Giustizia in Polonia e i Civici in Repubblica Ceca) sono usciti dal Ppe è perché sono per un approccio sempre più intergovernativo e sempre meno federale nei riguardi dell’Unione Europea.
Da questo punto di vista il gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei non solo scientificamente non candida nessuno alla presidenza della Commissione Ue (non perché manchino gli esponenti, ma perché si è contrario ad una designazione “dal basso” di questo ruolo), ma nemmeno fa troppi problemi nell’accettare nuovi associati. Se L’ECR, la famiglia dei conservatori europei, facesse le pulci ad un proprio potenziale membro per decidere se farlo entrare o meno darebbe vita ad una struttura organica e strutturata a livello continentale. Che è contro il dna politico di quelle stesse forze politiche che mettono al centro del proprio discorso lo stato nazionale, dando vita ad una “struttura” europea blanda e di mero coordinamento tra i parlamentari che intendono scardinare l’Unione politica a favore di una mera alleanza di tipo economico-commerciale.