La Commissione Europea ha pubblicato una dettagliata ricerca sul livello di innovazione all’interno dell’Unione europea, nei diversi Stati Membri e in confronto anche agli altri grandi Paesi nel mondo.
Ne esce un quadro fatto di luci e ombre, soprattutto per il nostro Paese. E’ innanzitutto basilare definire cosa vuol dire innovazione. Gli indicatori sono divisi in tre gruppi di fattori.
I fattori facilitatori di base come:
– giovani con educazione secondaria, 30-34enni con educazione universitaria, numero di dottorandi;
– pubblicazioni scientifiche e loro impatto, numero di dottorandi non europei;
– spesa per Ricerca e Sviluppo nel settore pubblico, investimenti dei Venture Capitalists;
L’innovazione attuata dalle aziende:
– La spesa in innovazione delle imprese, in particolare in ricerca e sviluppo;
– Pubblicazioni scientifiche in collaborazione pubblico-privato o piccole e medie imprese innovative e collaborative con altre;
– Presenza di brevetti internazionali e marchi registrati a livello comunitario;
L’innovazione come output:
– Piccole e medie imprese con innovazioni di prodotto, processo, marketing e organizzazione o livelli di occupazione delle aziende innovative;
– Livello delle esportazioni di prodotti hi-tech o comunque ad alta intensità di conoscenza, introiti da vendite di licenze e brevetti all’estero e occupazione in attività della conoscenza.
E’ sulla base di questi fattori che è stato possibile per a Commissione europea dividere i Paesi della UE in 4 gruppi di livello decrescente di innovazione:
– Innovation Leader
-Innovation Followers
– Moderate Innovators
– Modest Innovators
Qui una rappresentazione grafica:
Come si vede l’Italia si pone a metà classifica, al di sotto della media europea, mentre è la Scandinavia a essere capofila nel campo dell’innovazione in Europa, con al primo posto la Svezia seguita da Danimarca e Finlandia. Poi c’è la Germania.
Appare chiaro il rapporto tra il livello di reddito e di crescita del PIL e l’innovazione, nonchè il circolo virtuoso che quest’ultima attiva. L’innovazione aumenta il reddito dei Paesi, ma è anche di fatto aiutato dal maggiore benessere, in quanto maggiori sono le risorse da spendere in ricerca e sviluppo per Stati e imprese con un PIL maggiore.
Naturalmente la classifica di cui sopra è, per ogni Paese, il frutto di posizionamenti molto diversi nei differenti fattori.
Vediamo il caso dell’Italia.
Innovazione ed Europa, il caso dell’Italia
Se in media sull’innovazione siamo posizionati a metà classifica, ci sono alcuni campi in cui facciamo molto male ed altri in cui eccelliamo, o quasi. E non sono difficili da immaginare.
Innanzitutto siamo il Paese con meno laureati, dopo la Turchia, e questo è un fatto enorme. Lo vediamo con i seguenti istogrammi:
Non si tratta di un dato influenzato dalle persone più anziane, poichè ci si riferisce a persone tra i 30 e i 34 anni. Di fatto i laureati italiani sono stati recentemente solo la metà di quelli di Paesi come la Svezia o l’Irlanda. Questo dato è chiaramente legato alle scarse possibilità di produrre innovazione.
Innovazione, speranza dalle piccole imprese
Sprazzi di ottimismo vengono dalle piccole imprese. Mentre nelle altre voci l’Italia si piazza in posizioni mediocri di metà classifica, sulla proporzione di piccole e medie imprese che introducono innovazioni, siano esse di prodotto, di processo o di organizzazione, l’Italia è ben oltre la media UE e, come possiamo vedere, ai primi posti.
Ci sono però alcuni dati che fanno sorgere qualche sospetto: per esempio la presenza di Grecia e Macedonia ai primi posti insieme all’Italia. Il sospetto forte è che questa innovazione delle piccole imprese sia sostitutiva di quella delle grandi imprese, molto modesta per il semplice motivo che di grandi imprese in Italia ce ne sono poche e che le attività e le produzioni normalmente svolte da queste sono appannaggio delle piccole.
Un campanello d’allarme viene dalla classifica dei Paesi per grado di collaborazione tra piccole imprese e con altre realtà e istituzioni.
Chiaramente un modello in cui l’innovazione è delegata a piccole imprese, guidate spesso da imprenditori e da un corpo dirigente fatto in parte da non laureati, e che non collaborano tra loro, non può portare lontano. Non a caso uno dei maggiori vantaggi dell’innovazione nei Paesi avanzati – ovvero una occupazione di qualità nei settori di ricerca e sviluppo o in aziende a veloce crescita – in Italia non si può certo riscontrare:
Solo il 15% dell’occupazione è in settori innovativi e a veloce crescita, ad esempio il 7% in meno rispetto all’Irlanda .
Considerando che in totale il tasso di occupazione in Italia è tra i più bassi d’Europa, quest’ultimo è un dato che risulta ancora più negativo.
Mentre l’Unione Europea – secondo altre statistiche – comunque risale le classifiche sull’innovazione, avvicinandosi a Giappone e Stati Uniti, permane una divisione interna tra Paesi che negli ultimi anni è sembrata allargarsi e che va dall’occupazione al reddito, attraversando tutti gli aspetti dell’economia. Ciò chiaramente a dispetto delle intenzioni di chi al tempo volle l’Unione europea e ora progetta l’unione politica ed economica.