Semmai ci fosse bisogno di un’ulteriore conferma del fatto che siamo definitivamente in una nuova era politica, eccoci accontentati. Questa conferma ci arriva direttamente per bocca di un rottamato eccellente, protagonista assoluto degli ultimi vent’anni della scena politica italiana, di cui ha contribuito a mutare le logiche, gli spazi ma anche il lessico. Si tratta di Umberto Bossi, che in un’intervista concessa a Tommaso Ciriaco de la Repubblica non le manda a dire a un suo vecchio partner di coalizione, di cui condivide l’ormai inesorabile parabola politica discendente.
Bossi: “Berlusconi? Un pirla”
Secondo il “senatur”, Silvio Berlusconi sarebbe ormai “un pirla, perché uno che vota una legge che è il suo suicidio, è un pirla. Fa fuori le coalizioni. È un danno anche per la Lega”. L’Italicum dunque non va proprio giù a Bossi (“una legge elettorale del c….”), il quale preconizza uno scenario disastroso per quel che rimane del centrodestra. Se le imminenti regionali dovessero finire 6-1 per il Pd – il Veneto di Zaia pare blindato – secondo l’ex leader del Carroccio salterebbe tutto, e per rimettere insieme i cocci “ci vorranno almeno cinque anni”. Anche perché, sulla successione in Forza Italia, si naviga a vista (“il figlio è un bravo ragazzo, ma non è portato per la politica. Marina è brava nell’economia”) mentre per le alleanze future non vi è nulla di certo.
Eppure Bossi e Berlusconi hanno retto in tandem per quasi un ventennio. Fra alti e bassi, certo. All’affermazione elettorale del 1994 contribuì in modo determinante anche la Lega. Molti ricorderanno le parole di fuoco pronunciate dall’allora segretario leghista nel 1995 all’indomani della caduta del primo governo Berlusconi. Si giurarono reciprocamente di non volersi mai più sedere l’uno al fianco dell’altro, e per anni Bossi si scagliò duramente contro Berlusconi, al quale riservò epiteti tutt’altro che lusinghieri: “fascista di Arcore”, “mostro antidemocratico”.
Ma in politica, come nella vita, il passato non conta. Ed ecco che l’asse Forza Italia-Lega si riforma, si consolida e porta benefici a entrambe le parti. Nel giro di dodici anni – dal 2001 al 2013 – il Cavaliere trionfa in due elezioni su tre (le altre due, di fatto, le pareggia) grazie all’apporto fondamentale del Carroccio, che in cambio ottiene ministeri di peso e i tre governatori delle regioni-traino del Nord: Piemonte, Lombardia e Veneto. A partire dal 2011, però, il rapporto comincia lentamente a incrinarsi. A maggio le amministrative sono una disfatta per il centrodestra, a novembre cade il governo Berlusconi, mentre nei mesi successivi gli scandali legati ai diamanti di Belsito e alla finta laurea del “Trota” affondano la leadership già precaria di Umberto Bossi. I contatti fra i due si fanno sempre più sporadici, distaccati. Anche perché entrambi sanno bene che le loro creature politiche sono ormai in grado di camminare in piena autonomia.
Il resto è storia recente. Bossi scalzato prima da Maroni, poi da Matteo Salvini, di cui non ha mai condiviso la svolta lepeniana a discapito del celodurismo antimeridionali. L’elettorato leghista ne ricorda le gesta gloriose, ne riconosce la determinante funzione carismatica svolta, tributandogli i giusti onori. Ma adesso è il momento di cambiare pagina. Il senatur – ormai alla soglia dei 74 anni e in condizioni di salute non proprio ottimali – ha ben compreso di doversi fare da parte, come accaduto alla manifestazione leghista a Roma del 28 febbraio, dove lo si poteva osservare relegato all’estremità del palco, in completa solitudine, come un perfetto sconosciuto. In breve, Bossi ha il sentore che quella in corso sarà molto probabilmente la sua ultima legislatura. E allora è arrivato il momento opportuno per togliersi gli ultimi sassolini dalle scarpe.