“Con qualche correzione al Senato tutti saranno felicissimi di votare”. Pier Luigi Bersani ieri non ha partecipato al voto sul disegno di legge scuola (n.2994) insieme ad altri 26 esponenti della minoranza dem – tra cui spiccano i nomi di Cuperlo, Fassina, Bindi, Epifani e Speranza – così che la maggioranza assoluta è stata raggiunta grazie ad un solo voto di scarto (316 sì, 137 no e un astenuto). Oggi però, come da prassi, l’ex segretario ha fatto marcia indietro aprendo al governo: “credo che si possa correggere qualcosa al Senato”. E come? Primo: rivedere i “problemi aperti” cioè “il rapporto tra dirigente scolastico e insegnante” e “le discriminazioni tra precario e precario”. Secondo: farlo in tempi brevi perché entro il 15 giugno la proposta dovrà diventare legge per permettere al governo di attuare il piano straordinario di assunzioni. Bersani ha poi messo l’accento sull’importanza di “rispondere nel merito delle questioni” perché “questa cosa di non guardare mai al merito è uno dei guai”. Come dire: non mi si accusi di voler battagliare al Senato con l’unico scopo di defenestrare Renzi. Le agenzie battono e la prima reazione arriva da quella che minoranza non lo è più da qualche giorno. Pippo Civati, mai tenero con l’ex segretario, pubblica un post al vetriolo sul proprio sito web ciwati.it: “Una posizione durissima che mette a repentaglio la stabilità del governo – scrive ironico – sì, ciao. Se si riferisce al Pd – conclude – il premier può stare serenissimo”.
Dalla scuola si parte, alla scuola si arriva
Parafrasando Lorenzo Guerini – vicesegretario dem che negli infuocati giorni quirinalizi annunciò così la scelta di puntare su Sergio Mattarella al Colle: “si parte e si arriva con Mattarella” – si potrebbe così sintetizzare il momento della politica italiana: “dalla scuola si parte, alla scuola si arriva”. Del resto una delle prime riforme annunciate dal premier nel suo discorso d’insediamento a Montecitorio, fu proprio quella sull’edilizia scolastica. “Sulla scuola o si vince o si muore” ha scritto Marco Damilano sull’ultimo numero de l’Espresso paragonando Renzi a Frank Underwood, protagonista della famosissima serie tv House of Cards, che inizia la sua scalata alla Casa Bianca proprio con la riforma dell’educazione. E poi, non è un caso che in un’altra grande democrazia europea, la Francia, in questi giorni si stia discutendo molto della riforma della Scuola proposta dal governo socialista di Manuel Valls per mano del ministro dell’Istruzione Najat Vallaud-Belkacem. Parallelismi. Nonostante la proposta francese riguardi quasi totalmente la scuola media, si basa su un principio di fondo comune con il ddl “Buona Scuola”: “l’autonomia” delle scuole. Meno latino e greco, modifica delle classi bilingue e revisione dei programmi scolastici, sono i punti chiave della riforma francese. Questo ha portato nei giorni scorsi a polemiche e scioperi da parte degli insegnanti. Come in Italia. Secondo l’intersindacale francese allo sciopero di martedì scorso ha aderito il 50% degli insegnanti, secondo il governo il 27,6%. La metà. In Italia gli insegnanti hanno scioperato e manifestato il 5-6 e 12 maggio e i sindacati hanno annunciato un ulteriore sciopero di un’ora nei due giorni degli scrutini perché, si legge in un comunicato congiunto, il disegno di legge “lascia irrisolte molte delle sue più evidenti criticità e non dà risposta alle richieste che stanno alla base di una mobilitazione condivisa e partecipata dall’intero mondo della scuola”. Stamane è arrivata la risposta del ministro Stefania Giannini che ha messo in dubbio la rappresentatività di chi protesta: “il mondo della scuola non è solo quello che va in piazza – ha sottolineato il ministro – ma anche quello che in piazza non va e che comincia a dare segnali molto positivi della riforma”.
“Vietnam al Senato”
Dopo il via libera di ieri, intanto il disegno di legge è già arrivato in Senato dove si sono già rilevate le prime scaramucce in Commissione Cultura. E’ a Palazzo Madama infatti che si giocherà la partita più dura per il governo perché, si sa, al Senato la maggioranza ha numeri molto risicati e qualunque defezione potrebbe costar cara. I grillini hanno già annunciato il “Vietnam” parlamentare, mentre – nonostante la smentita di Renzi e Giannini – c’è già chi divulga di un possibile voto di fiducia per “blindare” il disegno di legge. Si vedrà. Intanto, altra benzina sul fuoco la getta Stefano Fassina che probabilmente lascerà il Pd dopo l’approvazione della riforma. A Repubblica stamani ha illustrato le tre modifiche da recepire: “cancellare i poteri dei presidi di chiamare e rimuovere dall’incarico i docenti; introdurre un piano pluriennale di assunzione degli insegnanti precari connesso con le uscite di pensionamento quindi senza oneri aggiuntivi; eliminare la detrazione fiscale per le secondarie superiori private”. Difficile che il governo lo ascolti. Ancora di più che possa concedere anche una di queste tre cose. Perché, come ha annunciato il ministro Giannini al Foglio, “i pilastri” cioè “autonomia, responsabilità, valutazione del sistema e riconoscimento del merito” non saranno “toccati” al Senato. O si vince o si muore.
Giacomo Salvini