Libia: il teatro dell’isolamento turco
(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Il 10 maggio una nave turca è stata attaccata dalle autorità libiche riconosciute dalla comunità internazionale, guidate dal Primo Ministro al-Thani. L’imbarcazione “Tuna-1” navigava sotto bandiera delle Isole Cook ma era di proprietà di una compagnia turca.
Il bombardamento di Tuna-1
Tuna-1 aveva lasciato un porto spagnolo in direzione di Tobruk, ma è stata bombardata quando si trovava ancora a 10-11 miglia dalla costa. Il giorno seguente il Ministero degli Affari Esteri turco ha dichiarato che la nave è stata attaccata mentre si avvicinava a Tobruk.
Mohamed Hejazi, portavoce del governo di al-Thani, ha commentato all’agenzia Reuters: “Un’imbarcazione è stata bombardata a circa 10 miglia dalla costa di Derna. Avevamo avvertito di non avvicinarsi al porto di Derna”.
Il contesto politico libico è molto complicato, il confronto tra due governi è caratterizzato da un sistema di alleanze basato su minoranze etniche, fazioni armate e tribù locali. Il governo di Tripoli è composto per la gran parte da membri dei Fratelli Musulmani ed è appoggiato da alcune milizie islamiste vicine alla fratellanza.
Materiali che giungono a Derna, controllata da gruppi estremisti tra cui lo Stato Islamico, potrebbero facilmente raggiungere fazioni radicali impegnate nella protezione di Tripoli. L’amministrazione di Tobruk sta cercando di tagliare i rifornimenti alle milizie musulmane, anche attraverso l’attacco a imbarcazioni in avvicinamento verso Derna. L’avvenimento del 10 maggio aveva precedenti: solo a gennaio, le forze leali al governo internazionalmente riconosciuto avevano bombardato una petroliera greca.
Le relazioni tra Turchia e Libia
Le relazioni tra Turchia e Libia si sono progressivamente deteriorate. La Turchia è accusata, insieme al Qatar, di supportare le forze opposte ad al-Thani. Il Generale Haftar, comandante delle forze militari di Tobruk, a giugno 2014 denunciò pubblicamente il supporto turco e qatariano al terrorismo islamico e ordinò ai cittadini di queste due nazioni di abbandonare entro 48 ore il territorio libico sotto il suo controllo.
Il Primo Ministro al-Thani annunciò a febbraio 2015 che la sua amministrazione avrebbe interrotto ogni trattativa con controparti turche, poiché Ankara garantiva rifornimenti di materiale bellico a una fazione rivale di Tripoli. L’amministrazione di Erdogan ha sempre negato queste accuse e, riguardo alla nave cargo Tuna-1, ha dichiarato che l’imbarcazione trasportava cartongesso.
Tuttavia, l’interpretazione turca degli avvenimenti politici in Libia e le connessioni tra Turchia e Fratelli Musulmani egiziani lasciano pochi dubbi riguardo alla posizione assunta da Ankara sulla guerra civile libica.
Nel novembre 2014 la Corte Costituzionale libica, con sede a Tripoli, dichiarò le elezioni legislative di quell’anno, che avevano costituito le istituzioni ora situate a Tobruk, costituzionalmente illegittime.
Nonostante la comunità internazionale abbia ignorato questo giudizio per via delle condizioni in cui è stato emesso, la Turchia ha dato rilevanza alla pronuncia della Corte. Sempre nel novembre dell’anno passato, le forze sotto la guida di Haftar hanno lanciato l’Operazione Dignità, con l’obiettivo di riguadagnare il controllo dell’aeroporto internazionale di Tripoli “Mitiga”, caduto sotto l’influenza di milizie rivali.
Il Ministero degli Affari Esteri turco in quell’occasione dichiarò: “Condanniamo fermamente il bombardamento. La crisi in Libia può essere risolta solo interrompendo interventi stranieri, raggiungendo un accordo di tregua e un dialogo politico inclusivo”. L’agenzia nazionale d’informazione Anadolu, controllata dal governo di Erdogan, saltuariamente definisce Haftar “un golpista”, chiarendo ulteriormente la posizione dello stato.
Il precedente egiziano
Il partito di governo turco AKP, Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, è uno dei più importanti sostenitori dei Fratelli Musulmani. Il ruolo giocato durante il periodo post-rivoluzionario in Egitto è ben noto e spiega la politica estera di Erdogan in Libia.
Turchia e Qatar supportarono Morsi nel suo tentativo di stabilizzare governo e paese. Il Qatar erogò crediti e depositi per 4 miliardi di dollari, la Turchia mise a disposizione un credito del valore di un miliardo di dollari. Altri stati islamici fornirono semplicemente dei depositi alla Banca Centrale Egiziana, per evitare una crisi di liquidità.
Inoltre, la fratellanza e il Qatar firmarono un accordo in cui la monarchia del Golfo s’impegnava a investire nel paese 18 miliardi di dollari in 5 anni. Lo stretto legame tra Morsi e Ankara si evidenziò anche nel tentativo del Presidente egiziano di legare il governo a una classe emergente di imprenditori, imitando quanto fatto dall’AKP anni prima con MUSIAD.
L’esperimento fallì, così come la ricerca di un accordo con la business élite vicina a Gamal Mubarak, figlio di Hosni. Nel luglio 2013 al-Sisi, capo delle forze armate nazionali, rovesciò Morsi e giunse al potere. La giunta militare usò massicci finanziamenti provenienti da Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti per contenere la disoccupazione e per investimenti pubblici.
L’Egitto dopo quasi due anni è sicuramente più stabile e lo stretto rapporto tra il suo establishment militare e i tre finanziatori del Golfo è ormai un dato di fatto nelle relazioni internazionali dell’area MENA. Lo scenario in Libia è coerente con gli avvenimenti egiziani, con Turchia e Qatar a supporto di Tripoli e alcuni gruppi armati alleati, mentre Egitto e Arabia Saudita, con Kuwait e UAE, sostengono le istituzioni di Tobruk.
Dopo la caduta di Morsi, Ankara ha visto i suoi rapporti con il Cairo e Riyadh raffreddarsi notevolmente. La Turchia è in conflitto con il governo siriano, il dialogo politico con Baghdad si è bruscamente interrotto. Una politica estera ambiziosa in Libia potrebbe isolare ulteriormente la Turchia dagli altri stati della zona MENA. Sebbene il miglioramento delle relazioni con gli stati islamici vicini sia uno dei pilastri stabiliti dall’AKP in politica estera, Ankara non sembra preoccupata, non abbastanza da cambiare priorità.
Lorenzo Siggillino
(Mediterranean Affairs – Contributing editor)