Il ministero dello sport sembrerebbe essere la nuova trovata di Matteo Renzi per spianare la strada alla legislatura fino alla sua scadenza naturale, cioè il 2018. Ma tutto sarà rimandato a dopo le regionali. D’altronde ora due delle principali riforme in cantiere, Scuola e Costituzionale, arriveranno al Senato dove – come abbiamo scritto ieri – si preannuncia un “vietnam” parlamentare visto che a Palazzo Madama il governo può contare solo su 13 voti di scarto rispetto alla risicatissima maggioranza (174 sui 161 previsti). Il primo appuntamento post-regionali sarà proprio sul ddl scuola che deve essere approvato entro e non oltre il 15 giugno per permettere l’assunzione degli insegnanti precari.
Renzi, come riporta ilfattoquotidiano.it che ha sentito diverse fonti parlamentari, vorrebbe ripristinare il Ministero dello Sport per due motivi. Primo: ha “messo la faccia” sulla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024 (“corriamo per vincere” disse lo scorso 15 dicembre) e difficilmente potrà sovrintendere sul dossier in prima persona. Secondo: dopo gli scandali degli ultimi giorni che hanno colpito il mondo del calcio (scommesse, la gaffe sull “lesbiche” di Belloli e il maxi-inciucio sui diritti tv), Renzi ha annunciato che il governo si impegnerà nel promuovere una riforma che riguardi il sistema-calcio tout court. A questi due obiettivi, se ne potrebbe aggiungere un altro prettamente strategico: affidare l’interim ad un membro della minoranza Pd per placare i focolai di ribellione che covano all’interno del partito. Due piccioni con una fava. Anzi tre.
Delega allo sport
La delega allo sport non è mai stata molto ambita (eufemismo) nelle compagini governative. Fino al 2006 faceva parte del Ministero della Cultura, poi il Prodi II lo trasformò in dipartimento per le “Politiche giovanili e le attività sportive” (Pogas) affidato nelle mani di Giovanna Melandri. In poco tempo divenne una poltrona leggera che serviva solo come pedina di scambio per correnti e “correntine”. Fu solo con il governo Monti però che l’Indipendente Piero Gnudi si insediò come “Ministro per lo Sport”. Nota alle cronache è poi la storia di Josefa Idem – ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili – che dopo soli due mesi di mandato (governo Letta) si dovette dimettere per una storia di evasione dell’Ici e di abusiva ristrutturazione edilizia. Infine con il governo Renzi la delega allo Sport era stata affidata a Graziano Delrio, fedelissimo del premier e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, poi passato alle Infrastrutture dopo le dimissioni telecomandate di Maurizio Lupi. Così dal 2 aprile scorso l’interim è passato direttamente nelle mani del premier che ora sembrerebbe ben felice di liberarsene.
Tutto rinviato al dopo-regionali
Il 31 maggio si vota in 7 regioni. Uno snodo fondamentale per la legislatura. Dal giorno dopo il governo si troverà a dover gestire due patate bollenti di carattere esclusivamente politico. Da una parte, come prevede l’ormai consolidata prassi parlamentare, saranno rinnovate le poltrone dei Presidenti di Commissione e Renzi si troverà anche a nominare il nuovo capogruppo democratico alla Camera dopo le dimissioni di Roberto Speranza.
Dall’altra, il mini-rimpasto è dietro l’angolo: il premier deve ancora affidare il Ministero degli Affari Regionali dopo le dimissioni di Maria Carmela Lanzetta e appunto la delega allo Sport, ma nel Palazzo si vocifera da tempo anche di un possibile avvicendamento al dicastero delle Riforme Istituzionali con Maria Elena Boschi che passerebbe direttamente a Palazzo Chigi in veste di sottosegretario. Solo fantapolitica? Tutto, comunque, si farà dopo le regionali perchè – ha assicurato nei giorni scorsi Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd – “sono tutti impegnati nelle elezioni al momento”.
In pole-position per i Ministeri
Al netto dei retroscena più o meno fondati, comunque, l’unica cosa certa sono i numeri. Vediamoli. Per le tre poltrone certe da assegnare – affari regionali, sport, capogruppo – sono in lizza il Nuovo Centrodestra (solo le prime due), la minoranza dem e i ribelli Pd che all’ultimo momento potrebbero salire sul carro del vincitore e appoggiare le turbo-riforme renziane.
Il partitino di Alfano, che nei sondaggi oscilla tra l’1 e il 3%, più i centristi possono contare su 33 deputati, addirittura 36 senatori e soprattutto 3 ministeri (Ambiente, Salute e Interno). Però ne hanno perso uno per strada, Maurizio Lupi, e perciò Alfano vorrebbe ripristinare il suo peso originario che sta scemando giorno dopo giorno viste le indiscrezioni che vorrebbero il passaggio di Beatrice Lorenzin al Pd. Poi c’è la minoranza interna: 26 parlamentari alla Camera ma soprattutto – e qui i voti pesano – 24 al Senato. Zero ministeri.
Infine ci sono i nuovi “lealisti” che si opponevano al premier fino a mercoledì scorso quando è avvenuta l’ennesima spaccatura interna tra i bersaniani. Maurizio Martina (ministro dell’Agricoltura), insieme ad altri 12 deputati, ha votato sì alla riforma della Scuola e dichiarato che “il governo si è dimostrato aperto al confronto” candidandosi di fatto a guidare i nuovi “responsabili”. Un unico dicastero: il suo. Ma potrebbe non bastare. Anche se, al Senato, un voto val bene una poltrona.
Giacomo Salvini