Marc Chagall, l’arte è un inno alla vita
L’amore è l’abbraccio che unisce i complementari. Un blu che si stempera nel rosso fino a perdere confini e identità, dando vita a un viola che rende superflua e irrilevante la distinzione tra colori caldi e scuri. In fondo, chi l’ha detto che gli opposti sono inconciliabili? L’arte spesso dimostra il contrario e Marc Chagall non fa eccezione: visitare la sua mostra per credere. Love and Life è il titolo della raccolta di 150 opere del pittore d’origine ebraico-russa provenienti dall’Israel Museum di Gerusalemme e “approdate” al Chiostro del Bramante a Roma. L’esposizione, in corso fino al 26 luglio, è stata ideata Ronit Sorek e segue l’appuntamento milanese dei mesi scorsi.
Moise Segal in arte Marc Chagall
La tradizione e gli affetti occupano un ruolo centrale nei lavori di Marc Chagall, il cui vero nome era Moishe Segal. Nei suoi dipinti ricorrono infatti costantemente elementi mutuati dalla cultura ebraica. Tra questi, l’allegoria positiva della capra, l’asino che rimanda alle Sacre Scritture e il suonatore di violino, figura immancabile nelle principali ricorrenze religiose. Altrettanto importante, per il vissuto emotivo dell’artista, il rapporto con la moglie Bella Rosenfeld, cui lo legava un intenso amore, nonché il ricordo della citta natia, Vitebesk (Bielorussia). Spaccati che lasciano evidente traccia di sé anche nell’autobiografia My Life e in First Encounter e Burning Lights, realizzato da quella che aveva scelto come compagna.
Una vita, quella di Chagall, imbevuta di esperienze diverse, “maturate” in un’epoca scandita, a livello internazionale, da continui rivolgimenti, non sempre indolori. Nel 1910, grazie al sostegno economico di un mecenate, si trasferisce a Parigi, e qui entra in contatto con i fermenti culturali e filosofici più fecondi (Espressionismo, Cubismo). La conoscenza diretta dell’avanguardia gli permette di confrontarsi con figure del calibro di Guillaume Apollinaire, Robert Delaunay, Cendrars e Leger. Poco più che ventenne ha l’occasione di esporre sia al Salon des Indépendants a Parigi, che al Salon d’Automne di Berlino.
Il suo immaginario “sopravvive” al conflitto mondiale alimentandosi di suggestioni oniriche, le quali attingono ai suoi trascorsi, al vissuto individuale e a quello di membro di una comunità.
La mostra è quindi un’occasione da non perdere, per quanti credono nell’arte come strumento per celebrare – e al tempo stesso esorcizzare – la realtà.