Visco: aziende troppo piccole, più innovazione in Italia o non ci sarà ripresa
E’ tradizionale la relazione conclusiva all’assemblea ordinaria della Banca d’Italia e il governatore Ignazio Visco, dopo le considerazioni interne sull’organizzazione e il funzionamento della Banca stessa, ne approfitta per riassumere i problemi e le opportunità dell’economia italiana.
E’ un linguaggio felpato e diplomatico quello di Visco, ma chiaro, ed emerge netta la distinzione tra il breve e il lungo periodo.
Un breve periodo in cui prima il LTRO, poi il Quantitative Easing, ovvero i programmi di acquisto di titoli di stato da parte della BCE, sono riusciti ad allentare la tensione sui mercati, e grazie ai quali i rendimenti dei titoli italiani sono calati di 60 punti, per esempio, mentre il cambio euro-dollaro si è deprezzato del 10%.
Questo ha abbassato le aspettative di deflazione, tanto temuta da Visco e dalla maggior parte dei governatori d’Europa, e invece alzato quelle di una ripresa dell’inflazione benefica per l’attività economica.
Il settore del credito infatti sembra essere foriero di buone notizie, è tornato a crescere dagli ultimi mesi del 2014, perlomeno per alcune aziende: in marzo i prestiti alle imprese erano del 2,2 per cento più bassi di un anno prima, con una forte attenuazione della caduta presente da tre anni. I prestiti agevolati BCE alle banche e il Quantitative Easing hanno appunto abbassato i tassi di interesse sui nuovi prestiti alle imprese che sono scesi dall’inizio dello scorso anno di oltre un punto percentuale, e anche il differenziale rispetto a quelli tedeschi e francesi si è più che dimezzato rispetto ai massimi di due anni prima.
Anche qui tuttavia Visco non manca di sottolineare la spaccatura presente nel nostro Paese: il credito cresce per quelle imprese che hanno superato la selezione darwiniana della recessione, che hanno già conti più equilibrati, che esportano e innovano, e che quindi sono già in ripresa.
Nei settori per i quali la ripresa è più lenta, in particolare nelle costruzioni, si registra invece tuttora una diminuzione del credito concesso.
Il problema principale per Visco infatti rimane infatti il lungo periodo e i problemi strutturali della nostra economia, ovvero la cronica incapacità delle imprese italiane di innovare ed ingrandirsi.
L’Italia ha mancato la rivoluzione tecnologica degli anni ’90 avvenuta negli USA e poi trasferitasi in Europa. dal 2000 in poi, la crescita del rendimento del lavoro a sud delle Alpi è precipitata infatti allo 0,3%, contro l’1,5-2% delle nazioni europee più competitive. Poco più del 50% della popolazione è collegata alla rete, contro l’82% del Regno Unito, il 79% della Germania e il 68% circa della Francia.
Questo rende il numero di ore lavorate in Italia, tra l’altro superiore della media europea, meno produttivo di quelle lavorate in Germania o altrove.
Visco sottolinea infatti che la politica monetaria non può bastare il breve periodo e sono necessari investimenti tecnologici, infrastrutturali, nella scuola e nella ricerca.
Uno dei problemi della struttura economica italiana è la dimensione ridotta delle sue aziende.
Vediamo di seguito l’impietoso confronto con la Germania:
Come si vede le aziende sopra i 3 miliardi di fatturato sono solo 22 nel nostro Paese contro le 150 in Germania.
Quelle tra i 50 milioni e i 3 miliardi sono solo 1350 (c’è un refuso nello schema) contro le 5 mila in Italia.
Ma la vera peculiarità italiana è l’enorme numero di microaziende, con meno di 2 milioni di fatturato, 374 mila contro le 19 mila in Germania.
Queste aziende non riescono a fare innovazione, a creare un valore aggiunto che permetta di dare più stabilità e salari più alti ai propri dipendenti. Si basano su competitività di prezzo facilmente evaporabile, hanno pochissimo o nullo potere di contrattazione con fornitori e clienti, e sono molto più vulnerabili nel caso di squilibri, bolle, e crisi.
Di seguito vediamo in quali settori industriali i principali Paesi dell’area tendono a investire più o meno della media UE. L’Italia si concentra in prodotti molto specializzati e tradizionali, e meno di tutti in quelli tecnologici e che scaturiscono dall’innovazione scientifica, dove eccelle per esempio la Francia.
Siamo anche deboli anche nei settori, tecnologici o meno, in cui contano le economie di scala, in cui va bene a Spagna, che sta crescendo per esempio del 2,5%.
Visco sottolinea che c’è anche un gap in investimenti attratti in Italia, e che è fondamentale perchè si dirigano nel nostro Paese un maggiore spirito riformista, di cui il Jobs Act è un buon esempio, e lo dimostrano le trasformazioni in contratti a tempo indeterminato verificatisi in questi mesi.
I contratti permanenti sono ora il 23% contro il 15% dell’anno scorso.
Visco però sottolinea che questo può non bastare, soprattutto per i settori tradizionali e per il Mezzogiorno la ripresa sarà molto più lunga e non ci si può aspettare con la fragilità dell’economia italiana un effetto trascinamento, per questo invoca investimenti pubblici, nel campo urbanistico, della salvaguardia del paesaggio, per coinvolgere settori come turismo ed edilizia.
Un accenno infine a un grande assente in Italia, le politiche attive per il lavoro, ovvero una riqualificazione dei lavoratori, anche per compensare le lacune del sistema educativo rispetto all’estero, un sostegno al reddito per i disoccupati, un modo insomma per coinvolgere nella ripresa tutte le persone attive, e non solo quelle che si ritrovano nelle aree e nelle aziende più di successo.