Etiopia: la patria dell’umanità
La notizia è apparsa sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, dunque è stata verificata, provata e approvata ai più alti livelli della scienza. Lucy, l’ominide considerato la “madre dell’Umanità”, ha un parente stretto, cioè un ominide di un altra specie che conviveva con lei nelle savane dell’Etiopia, nell’attuale territorio degli Afar, circa tre milioni e mezzo di anni fa.
Da dove viene l’uomo
Questo recente ritrovamento e la datazione fatta con il metodo del carbonio radioattivo dimostra che Lucy non è (o potrebbe non essere) la “madre” dell’umanità, ma che certamente le savane dove è stata ritrovata sono il luogo che ha incubato la specie Homo della quale noi siamo i discendenti.
Le differenze tra Lucy e questo suo “parente stretto” sono notevoli: quest’ultimo ha una mandibola molto più marcata, denti più piccoli ma più acuminati, segno che, evidentemente, la dieta era diversa da quella degli ominidi come Lucy. Sono tante anche le caratteristiche che accomunano le due specie segno che tre milioni e mezzo di anni fa l’evoluzione stava cercando con accanimento di produrre una specie che fosse adatta a crescere e a dominare il mondo, cioè Homo Sapiens.
L’orgoglio etiope
Gli etiopi furono, e sono ancora oggi, orgogliosi che il loro territorio ha dato origine alle prime scintille di umanità. Questa recente scoperta conferma tutto, anche se rende tutto più complicato. Quando fu scoperta Lucy gli etiopi pretesero che gli fosse dato anche un nome in lingua amharica. Il nome fu Dinginesh, che tradotto significa: “Tu sei Meravigliosa”.
Dalla equipe di archeologi europei invece venne fuori il nome di Lucy perché quando le sua ossa fossilizzate vennero alla luce l’equipe stava ascoltando la radio che trasmetteva la canzone dei Beatles “Lucy in the Sky”. Oggi le ossa di questo nuovo ritrovamento hanno preso il nome di “Parente Stretto” e il riferimento è ancora a Lucy che rimane una sorta di protagonista.
Le sue ossa sono conservate nel museo di storia naturale di Addis Abeba che ho visitato. La teca che le contiene è in una stanza foderata di moquette ma la visione è toccante, quasi commovente. Si tratta di ossa di una piccola donna di poco più di un metro di altezza. Guardarle emoziona. Quando uscii dal museo mi dissero che quelle esposte al pubblico erano una copia. Le ossa vere erano conservate in un luogo più sicuro. L’emozione rimase.