“Ho convocato la Direzione per lunedì, anche perché bisogna che recuperiamo il rispetto per la comunità”. Il Presidente del Pd Matteo Orfini annuncia, in un’intervista uscita stamani sul Corriere della Sera, la data del redde rationem: dopo la “non vittoria” del Pd alle Regionali (persi 1 milione e 900 mila voti rispetto alle europee dello scorso anno) Renzi sfiderà la minoranza rea, secondo molti, di aver contribuito alla sconfitta di Lella Paita in Liguria, spalancando le porte della Regione alla destra guidata da Giovanni Toti. I due Mattei del Pd (Orfini e Renzi) si sono sentiti subito dopo i risultati elettorali e hanno deciso di comune accordo di convocare al più presto la Direzione nazionale. Era stato proprio il premier, infatti, ad annunciare un chiarimento interno al partito nel suo commento post-elettorale: “In un anno siamo passati da 6 Regioni su 6 ad un sonoro 10 a 2 sul centrodestra. E’ un risultato davvero molto positivo. Ora andiamo avanti con ancora maggior determinazione nel processo di rinnovamento del partito e di cambiamento del Paese”.
La segreteria
La sconfitta in Liguria brucia ancora e così tra ieri e oggi lo scontro tra dirigenza e minoranza del partito si è fatto sempre più feroce. Ancora Matteo Orfini al Corriere accusa chi in Liguria “ha perso le primarie e non ha voluto riconoscere il risultato”. Poi c’è Lorenzo Guerini, vicesegretario democratico a cui probabilmente verrà dato il benservito, che a Repubblica dice: “C’è una punta di amarezza per il risultato della Liguria che è anche frutto di scelte compiute da alcuni esponenti, per fortuna non tutti, della minoranza dem”. E invoca “un chiarimento” tra le parti che, però, non significa “tregua o guerra, ma dirci con franchezza in quale direzione andiamo”. Nell’era in cui lo storytelling conta più di ogni altra cosa, la voce e soprattutto lo sguardo perso di Debora Serracchiani lunedì mattina al Nazareno dicono più di mille analisi politologiche sul voto di domenica. Sempre al quotidiano di Ezio Mauro ieri affidava queste parole: “Per la Liguria sono davvero molto amareggiata. Ma la vittoria di Toti ha dei responsabili precisi: quella parte della sinistra che, lasciando il partito e presentando una propria lista, e con una campagna elettorale molto aggressiva, cattiva ha giocato sulla pelle dei cittadini della Liguria a far perdere il Partito Democratico”. Poi sul caso degli “impresentabili” ha anche accusato Rosy Bindi di aver portato avanti una “strumentalizzazione in chiave elettorale”. Bersagli: il trio Pastorino-Civati-Cofferati e la minoranza interna che non si sarebbe espressa così chiaramente a favore di Paita e De Luca. Lunedì mattina al Nazareno c’era anche Ettore Rosato – vicecapogruppo alla Camera ma non ancora promosso alla poltrona che fu di Roberto Speranza – che si sta ritagliando un ruolo importante all’interno del partito (anche se Renzi non sembrerebbe tanto convinto di premiarlo a capogruppo). Rosato ricalca la stessa linea dei renziani ortodossi: “un pezzo di fuoriusciti del Pd ha lavorato per farci perdere”. Poi c’è il tema delle poltrone, e quindi dei rapporti di potere interni. Secondo tutti i retroscenisti dei principali quotidiani nazionali qualche testa cadrà lunedì e si arriverà ad un nuovo organigramma interno. “Se il segretario Renzi riterrà di intervenire, lo farà” conclude Guerini.
Minoranza all’attacco
D’altra parte la netta sconfitta in Veneto e in Liguria sembrano aver rianimato quella minoranza che era uscita con le ossa rotte dalla votazione finale sull’Italicum e dall’approvazione in prima lettura della riforma sulla “Buona scuola”. Il primo esponente di peso a criticare il premier-segretario era stato Stefano Fassina, dato per uscente dopo l’approvazione della riforma della Scuola: “è un messaggio chiaro diretto al governo di Matteo Renzi” da parte “del nostro elettorato che non gradisce la svolta liberista e plebiscitaria del premier”. Gianni Cuperlo si appellava al premier invitandolo ad aprire “una riflessione seria” per capire “come si tiene assieme e si rilancia un progetto comune” e Alfredo D’Attorre ironizzava sulla photo opportunity scattata domenica sera, a urne ancora aperte, dal portavoce del premier Filippo Sensi in cui si vedono Renzi e Orfini che giocano con un celeberrimo videogame: “E’ ora di mettere via la playstation e tornare alla realtà, che è molto dura” schernisce D’Attorre. Il fuoco di fila arriva anche da uno che renziano lo è stato (o quasi) come Roberto Speranza, dimissionario dopo l’approvazione a colpi di maggioranza dell’Italicum, che a Repubblica dichiara: “solo se unito il Pd vince. Estromettere la sinistra è un errore e il posto giusto della sinistra è esattamente nel Pd”. E c’è già chi lo vede come possibile leader della minoranza.
Sinistra radicale
Infine c’è la sinistra che sta fuori dal Pd. In primis Pippo Civati che a Libero respinge l’accusa di aver usato Luca Pastorino per far perdere i democratici in Liguria: “La somma delle liste di Paita e di Pastorino – calcola Civati – non arriva al totale preso da Toti. E poi chi l’ha detto che chi a votato Pastorino avrebbe votato la Paita? Moltissimi non sarebbero andati a votare o avrebbero votato M5S”. Poi, riguardo ad un nuovo movimento politico alla sinistra del Pd renziano, dice: “Genova è il primo banco di prova di un’idea che avevamo da tempo. Prendere quasi il 10% con quella campagna martellante contro di noi, con 4 ministri che hanno chiuso a Genova, con Renzi venuto tre volte, è stato un successo”. Gli fa eco Nichi Vendola che si è detto pronto addirittura a sciogliere Sel per costruire una nuova formazione politica con Landini e Civati: “ora tutti quelli che sono interessati al futuro della sinistra siano generosi – esorta a Repubblica e Manifesto – per costruire una rete, nonostante le condizioni siano difficili. Perché quando la sinistra fa la destra (cioè il Pd, ndr) è tutta la sinistra che viene sfregiata e delegittimata”. E perché si dovrebbe fare un nuovo partito invece di migliorare ciò che già c’è? “Abbiamo avuto una indicazione che dice ‘fatelo, fatelo subito e fatelo bene’ il nuovo soggetto politico”.
Giacomo Salvini