Viaggio in Campania, dove le preferenze contano ancora

Pubblicato il 3 Giugno 2015 alle 15:35 Autore: Redazione

A urne chiuse, è ormai il momento di riflettere su numeri e dati reali, interpretandoli a bocce ferme e nel modo il più avalutativo possibile. Ci soffermiamo, in quest’analisi, sul voto di preferenza. Si tratta di una questione spinosa, sulla quale si è rinnovato un ampio scontro politico, in realtà già aperto da decenni, ma riemerso negli ultimi mesi visto il rientro delle preferenze anche a livello nazionale previsto dall’Italicum di Matteo Renzi.

Già lo scorso anno, all’indomani delle elezioni europee, avevamo proposto (primi in Italia) un’analisi sui flussi delle preferenze relativa a tutto il territorio nazionale. Stavolta, invece, abbiamo scelto di concentrare su una singola polity: la Campania. La scelta non è casuale, ma dettata dal fatto che questa regione è caratterizzata storicamente da un elettorato molto propenso a esprimere preferenze sulla scheda elettorale: la Campania. Accadeva con la DC ai tempi della Prima Repubblica, accade ancora oggi.

Basandoci sui risultati ufficiali del Viminale (ai quali, a distanza di 72 ore dalla chiusura dei seggi, manca ancora una sezione) abbiamo totalizzato le preferenze ottenute da tutti i candidati, isolandole rispetto al voto delle liste e ponendole poi in correlazione con queste ultime, attraverso un indice che in scienza politica viene detto “tasso di preferenza” (che da questo momento abbreviamo in TP). Più il TP di una lista sarà elevato, maggiori saranno le preferenze espresse all’interno della lista stessa (relative, ovviamente al dato complessivo della lista). Giova ricordare – a fini di precisione metodologica – che l’elettore aveva la possibilità di scrivere sulla scheda anche due nomi, a patto di scegliere candidati di genere diverso.

Alla luce dei calcoli effettuati, possiamo confermare il trend che ci si aspettava, con la Campania che mantiene un TP tra i più elevati in Italia seppur in diminuzione rispetto alle consultazioni regionali precedenti. Come si evince nella Tab.1 – dove il dato è stato scorporato per provincia – il tasso medio regionale è superiore al 37%, decisamente alto rispetto alla media nazionale e oltre il doppio rispetto al dato medio dello scorso anno relativo alle europee (15,4%). Nell’impossibilità materiale di conoscere il numero effettivo di persone che si sono servite dell’opzione di esprimere una o più preferenze, ci accontentiamo di ricavare dati più generici: 1,7 milioni di nomi sono stati scritti sulle schede, a fronte dei quasi 2,3 milioni di voti di lista complessivi. Si tratta di numeri imponenti, nonostante la scarsa affluenza registrata.

Tab. 1 - Tasso di preferenza suddiviso per provincia

Tab. 1 – Tasso di preferenza suddiviso per provincia

La provincia con il TP più alto è Avellino, che si attesta oltre il 43%. In terra irpina, infatti, hanno riportato ottime performance due tra le formazioni che più contano sul voto di preferenza: il Nuovo Centrodestra e l’Udc (schierate rispettivamente con Caldoro e De Luca). In particolare, il partito di Casini è molto radicato sul territorio grazie all’influenza esercitata dall’ottantasettenne Ciriaco Di Mita, il quale – “signore delle preferenze” già ai tempi dello scudo crociato” – si dimostra ancora in grado di smuovere importanti pacchetti di voti. Segue, in ordine di TP, la Salerno feudo del nuovo presidente Vincenzo De Luca, dove ha fatto il sindaco per quasi vent’anni. Qui il tasso di preferenza supera il 41%, con exploit particolarmente significativi per Fratelli d’Italia, Psi, Ncd e per lo stesso Partito Democratico. Al terzo posto della graduatoria c’è poi la provincia campana più settentrionale, quella di Caserta, rimasta fedele al governatore Caldoro. Anche qui si segnalano elevatissimi tassi di preferenza a favore del Nuovo Centrodestra, ma anche dei Fratelli d’Italia e della lista civica a sostegno del presidente uscente. Segue poi il napoletano, con quattro punti sotto la media e un TP nettamente più ampio per la coalizione pro-Caldoro rispetto a tutti gli altri. Chiude la circoscrizione meno popolosa, quella di Benevento, il cui (relativamente) scarso tasso di preferenza è stato probabilmente dettato dalla limitata scelta che gli elettori avevano a disposizione: soltanto due, infatti, erano i candidati per ogni lista.

Dopo aver dato uno sguardo ai risultati a livello territoriale, focalizziamo ora l’ attenzione sulle forze politiche in campo. Nella Tab.2, infatti, troviamo i tassi di preferenza ottenuti da ogni singola lista a livello regionale.

tab.2

Confrontando i dati delle coalizioni, notiamo subito che le liste a sostegno di Stefano Caldoro presentano, nel complesso, il più elevato TP (42,67%), ben due punti e mezzo in più nei confronti della coalizione di Vincenzo De Luca, ferma di poco sopra il 40%, comunque superiore di tre punti al dato medio totale. Segue al 36,7% la lista “Sinistra al lavoro”, che raggruppava Sel, Rifondazione  e pezzi di sinistra ostile a De Luca e sosteneva la candidatura dell’ex sindaco di Castellammare Salvatore Vozza. Il tasso di preferenza pur leggermente inferiore alla media, si presenta piuttosto alto per una lista di sinistra radicale, che generalmente si attesta su livelli decisamente bassi in tal senso.

Fanno da contrappeso agli alti TP le due coalizioni “civiche”: vale a dire la lista “Mò” che candidava Antonio Esposito alla presidenza (non presente, tra l’altro, nelle circoscrizioni di Avellino e Benevento) e il Movimento Cinque Stelle, che sosteneva invece Valeria Ciarambino e che è risultato il partito con maggiori consensi in tutta la regione. Con appena il 18,5% delle preferenze utilizzate, gli elettori grillini si confermano i meno propensi a scrivere i nomi sulla scheda. Le motivazioni vanno ricercate sostanzialmente nel carattere collegiale del soggetto politico e nella tendenza, da parte dell’elettore medio dei Cinque Stelle, ad esprimere un voto di protesta (spesso simbolico) che prescinde dalle logiche delle candidature individuali, anche perché spesso non si è nemmeno a conoscenza dei candidati presenti in lista. Inoltre, last but non least, l’assenza di correnti interne riduce – anzi, quasi annulla – la competizione infrapartitica, motore del voto di preferenza.

Guardando alle singole liste coalizzate, risulta che il Nuovo Centrodestra, con quasi il 50%, si attesta al primo posto nella nostra graduatoria. È un primato, questo, analogo a quello delle scorse europee, quando gli alfaniani riuscirono per poche migliaia di voti a superare lo sbarramento del 4% grazie all’indispensabile traino arrivato proprio dalle regioni meridionali, che presentavano – non a caso – un TP molto più alto, soprattutto a favore dei partiti “tradizionali”. Si segnalano poi, all’interno della coalizione di governo uscente, le notevoli performance della lista Popolari per l’Italia e dei Fratelli d’Italia (che elegge gli unici due candidati ritenuti “impresentabili” dalla commissione Antimafia, oltre al governatore De Luca), mentre Forza Italia (primo partito della coalizione) supera di poco il 41%. Molto inferiori alla media le due piccole liste civiche “tematiche” a sostegno di Caldoro: “Mai più terra dei fuochi” e “Vittime della giustizia e del fisco”. Entrambe totalizzano un numero di preferenze di poco superiore a 3000.

Nella coalizione avversa, è da segnalare il Partito Socialista, il cui TP di poco sotto il 48% lo piazza al terzo posto della graduatoria mentre l’UDC conferma la sua storica attitudine a contare molto sul peso delle candidature individuali, con un TP del 45,6%. Quattro punti sopra la media anche per il Partito Democratico: 390mila preferenze espresse e primo posto in termini assoluti. È interessante notare, poi, il TP piuttosto basso riportato dalla lista “De Luca Presidente”: appena il 24,5%. Le liste civiche, non potendo contare su una struttura partitica alle proprie spalle, puntano perlopiù sulle risorse interne, ovvero i singoli candidati. Per questo motivo, è spesso molto alto il numero di preferenze in esse riportato: non è stato così per la lista di De Luca, la cui ampia affermazione è stata probabilmente trascinata dal carisma del candidato presidente. In sostanza, l’elettore che ha votato la lista “De Luca Presidente” lo ha fatto soprattutto in funzione di un consenso per la persona dell’ex sindaco di Salerno, e non tanto per i candidati della civica. Di fatto, a portare acqua al mulino ci ha pensato lui. E nonostante i dubbi sull’effettiva possibilità di governare, De Luca è riuscito a strappare la regione al centrodestra, salvando la faccia a un Pd uscito decisamente ridimensionato in tutta Italia.

Antonio Folchetti

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