Tutti i partiti del centrodestra

Uniti si vince. E’ questo il refrain post-elettorale ripetuto all’unisono dai principali esponenti del centrodestra, inteso come blocco di partiti (dalla Lega fino ai Popolari per l’Italia) che in comune sembrano avere una sola cosa: essere alternativi a Renzi e al renzismo dilagante. La vittoria di Giovanni Toti in Liguria – appoggiato da Lega Nord, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Nuovo Centro Destra – contro la candidata renziana Raffaella Paita ha fornito la prova del fatto che Renzi e il suo Pd possono essere battuti in una competizione elettorale. Certo è che attribuire la rigenerazione indistintamente a tutto il centro-destra rischia di fotografare una realtà che, al momento, non esiste: all’interno di un’ipotetica coalizione il Nuovo Centro Destra non avrebbe lo stesso peso della Lega o Fratelli d’Italia quello di Forza Italia. Così, scomporre il fronte moderato nelle sue diverse componenti può risultare utile.

Forza Italia

Berlusconi, nonostante due variabili di peso come l’età e l’incandidabilità, è tornato a fare campagna elettorale in vista delle regionali. E si è visto. Il suo delfino Toti ha strapazzato Paita in Liguria, il 50% di Zaia in Veneto è frutto anche di un seppur striminzito 6% di voti provenienti da Forza Italia e, in Umbria e in Campania, i candidati forzisti Ricci e Caldoro sono arrivati secondi con percentuali non troppo distanti dal colpaccio (-3% entrambi). Al contrario, le divisioni interne al centro-destra hanno pesato molto di più sia in Puglia che in Toscana. Nelle scorse settimane, intanto, l’ex Cavaliere aveva annunciato la formazione di un nuovo soggetto politico che si ispirasse ai Repubblicani degli States. Per ora sembra tutto congelato anche se era stato lo stesso Berlusconi a rinunciare alla candidatura per il 2018, lasciando così spazio ad un nuovo leader. Ma chi?

Fratelli d’Italia

Risultati positivi anche per il piccolo ma volitivo partito di Giorgia Meloni che ha raccolto tante preferenze soprattutto in Campania (5%), Umbria (6%) e Marche (6,5%). Nonostante la presenza fissa di una front-woman, Meloni, che lo schermo lo buca eccome, Fratelli d’Italia sembra comunque destinato ad un ruolo minoritario nella possibile coalizione, perché troppo schiacciato sulle posizioni lepeniste e anti-euro di Salvini.

Lega Nord

Il vero boom delle regionali – inutile negarlo – è di Salvini e i suoi. I numeri parlano chiaro: primo partito in Veneto, secondo in Toscana e terzo in Liguria, Marche e Umbria. Ennesima dimostrazione del fatto che, Salvini non si accontenta più di cannibalizzare gli avversari solo al Nord ma vuole estendere il suo progetto su tutto il territorio nazionale. Per ora ci è riuscito al centro. Al sud, si vedrà. Se è vero che l’incessante bombardamento mediatico delle sue felpe ha influito sul voto, è anche vero che in televisione bisogna saperci stare. E, se possibile, bisogna saper comunicare qualcosa di comprensibile alla gente. I voti si prendono così. E Salvini lo sa: flat tax, abolizione degli studi di settore, referendum (bloccato dalla Consulta) per abrogare la Fornero, blocco navale in Libia, via dall’Euro, qualche spruzzata di intolleranza verso rom e immigrati, e il gioco è fatto.

Nuovo Centro Destra

I maligni dicono del mini-partito di Alfano: più poltrone che voti. Dieci in tutto: due ministri, due viceministri e due sottosegretari. Un po’ troppo per un partito che nei nuovi consigli regionali ha conquistato solo 3 seggi e ne ha persi 24. Ma, nonostante questo, Alfano ha tuìttato giulivo: “Alle europee in queste 7 regioni NCD-UDC al 4,2%.Oggi #AreaPopolare verso il 4 e UDC 1,5. Mentre altri calano,noi teniamo e avanziamo #bene!”. Intanto qualcosa si muove: qualcuno andrà con Fitto, altri torneranno all’ovile in Forza Italia e qualcuno entrerà nel Pd renziano (Beatrice Lorenzin). Così, al netto di photo opportunity e dichiarazioni di facciata, non è esclusa l’adesione definitiva ad un polo renzista.

Riformisti e Conservatori

E’ il nuovo gruppo guidato dall’europarlamentare Raffaele Fitto. Il nome è stato ripreso dal gruppo del Parlamento Europeo (European Conservatives and Reformists Group) a cui lo stesso Fitto aveva aderito dopo la famosa lettera al Telegraph in sostegno del primo ministro inglese David Cameron. Il gruppo è stato formato solo al Senato (bastano 10 componenti) mentre alla Camera ne servono almeno 20 e qui Fitto non ha ancora i numeri. Ma chissà che l’ottimo risultato pugliese (9,25%) non convinca qualcuno a cambiare casacca e a farsi trasportare dal fascino dell’eterno ribelle. Il drappello guidato dalla capogruppo Cinzia Bonfrisco è costituito da 12 senatori di cui 9 provenienti da Forza Italia e 3 da Gal.

Popolari per l’Italia

Ieri dalla maggioranza sono usciti definitivamente i “Popolari per l’Italia” guidati dall’ex ministro della Difesa Mario Mauro, da sempre critico nei confronti del governo Renzi. Gli equilibri non cambiano più di tanto. Dopo l’uscita del sottosegretario Angela D’Onghia, infatti i “popolari” rimangono solo in due: lo stesso Mauro e Tito Di Maggio. Obiettivo: riavvicinarsi a Forza Italia.

I Repubblicani

Il 2 giugno, al Teatro Nuovo di Milano, Nunzia De Girolamo (Ncd) e Marco Reguzzoni (ex capogruppo alla Camera della Lega Nord) hanno lanciato un nuovo movimento politico: I Repubblicani.

La Destra

Francesco Storace guida il piccolo partito che si è ritagliato uno spazio tra gli ambienti di CasaPound.

Verdiniani

Citazione finale tutta per loro. Il dato politico è che il Pd al Senato non ha i numeri per portare fino in fondo la legislatura (2018) senza particolari scossoni. Soprattutto se, come sembra, il dissenso interno sui provvedimenti in arrivo a Palazzo Madama (Scuola e Costituzione) si estenderà ancora. Qualche numero: la maggioranza al Senato è fissata a 161 voti e oggi Renzi può disporre di 175, cioè 14 voti in più. Ma di questi 14, 5 sono senatori a vita, quindi in realtà i voti di scarto per Renzi sono solo 9. Così, da molto tempo si parla di soccorso azzurro. Soprattutto sulla riforma Costituzionale potrebbe arrivare l’appoggio, magari nel voto segreto, dei verdiniani, intesi come seguaci del fiorentino Denis Verdini da sempre in sintonia (eufemismo) con la coppia Renzi-Lotti. Era già successo con l’elezione di Mattarella al Colle. Potrebbe riaccadere. Ma se alla Camera la base da cui partire è di 10 deputati, al Senato i numeri sono più ballerini: c’è chi dice due o tre al massimo e chi arriva addirittura a venti. Tutti pronti a sostenere il premier.

Giacomo Salvini