Renzi può arrivare al 2018 solo se cancella l’idea del partito della Nazione, se cambia su scuola e riforme, se insiste sui diritti civili, se vara un provvedimento per la lotta alla povertà. Lo dice l’ex capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza, in una intervista a La Repubblica. “La priorità politica è costruire un Pd che sia e resti il grande soggetto del centrosinistra, scongiurando definitivamente l’ipotesi del partito della Nazione in cui scompaiono i confini tra destra e sinistra».
Sulla scuola, “Renzi si rende conto che la frattura tra il Pd e un pezzo molto largo del nostro elettorato è stato un errore grave. Sono fiducioso, nelle prossime ore vedremo dei cambiamenti”, aggiunge Speranza, che auspica la prosecuzione della legislatura fino al 2018: «Spero di sì, per l’Italia. Il Pd ha i numeri in Parlamento per governare ma è chiaro che quel traguardo si raggiunge se si ricostruisce una unità vera del partito. Lo può fare solo Renzi cambiando alcuni atteggiamenti che non hanno funzionato. Solo così arriviamo fino in fondo». Su Italicum e Jobs Act Renzi «Ha sbagliato e lo abbiamo pagato sul piano elettorale. Questa rotta va assolutamente invertita. Lavoriamo tutti insieme per arrivare al 2018 anche perché fuori dal Pd la fotografia è Salvini-Berlusconi-Grillo ed è davvero inquietante. Ma si può andare avanti soltanto a condizione che ci sia una nuova capacità di unire il Pd a differenza di quello che è avvenuto negli ultimi mesi», conclude Speranza.
Verso la direzione Pd, Epifani analizza il voto
“Vogliamo arrivare a fine legislatura, con un governo che vada lungo la strada giusta. E, allo stesso tempo, mettere mano seriamente al partito, partendo dalle regole e dalle primarie. Quanto è successo deve servirci di lezione”. Così l’ex segretario del Pd Guglielmo Epifani, in una intervista al Corriere della Sera. “Il Pd ha tenuto, ma il campanello d’allarme non va sottovalutato. L’astensione sale per tutti e colpisce molto anche il Pd. Il problema non sono i numeri, è il rapporto col Paese e con l’elettorato del Pd ed è la qualità del cambiamento. Non si può sempre procedere per strappi, sulla scuola ci giochiamo il rapporto con parti fondamentali del Paese. A forza di fare strappi si riduce il consenso”. “La riforma della scuola è fondamentale, ma bisogna farla bene. Dividere la minoranza tra buoni e cattivi, dialoganti e gufi, è pura tattica, che non risolve i problemi indicati dal voto. Se vogliamo arrivare al 2018 dobbiamo andare oltre la tattica e le divisioni del Pd. Le riforme richiedono consenso e partecipazione democratica. Col Pd diviso Renzi rischia di arrivare al 2018 indebolito. Renzi è il segretario di tutti, non di una parte. Tocca a lui proporre una strada al Pd”.
Analisi del voto e raccordo coi nuovi presidenti di regioni
C’è un altro tassello che va considerato nella dialettica interna al Pd ed è quello che riguarda il lavoro delle regioni conquistate dal centrosinistra nel voto di Domenica 31 Maggio. Non è un mistero che i democratici stiano rivalutando l’assetto del Pd e discutendo la possibilità di sostituire alcune figure apicali come quella del vicesegretario Lorenzo Guerini. Sul tavolo c’è anche il rapporto tra Renzi ed i governatori neoeletti.
Spesso si è parlato di De Luca ed Emiliano, eletti in Campania e Puglia, come di due forti personalità non sempre ben visti da Renzi soprattutto per alcune loro sortite sul lavoro del Governo. Le prime settimane saranno quelle decisive per inquadrare un rapporto di collaborazione o rendere plateale i loro intenti ‘autonomisti’ rispetto al gruppo dirigente del Pd.
Fassina parla del “popolo democratico”
“Lasciare il Pd? Il punto è capire se il Pd si riavvicina al popolo democratico, è la condizione per fare riforme progressive”. Lo ha detto Stefano Fassina, a margine di un evento alla facoltà di Economia dell’Università Sapienza, rispondendo a chi gli chiedeva se questa sera in occasione della direzione del partito.