Siamo in tempi di economia 2.0 e dei servizi, di stampanti 3D e di information technology, ma alcune cose sembrano non mutare per l’Italia.
Una di queste è la dipendenza da una delle più grandi e storiche aziende italiane, la FIAT, che ormai parla straniero, con un CEO italo-canadese che risiede in Svizzera, la sede in Olanda e la residenza fiscale a Londra. In fondo non si chiama neanche più FIAT, ma FCA (Fiat Chrysler Automobiles), dopo a fusione con l’azienda americana.
E tuttavia oggi come negli ani ’50 o ’70 fa la differenza per spingere l’asfittica economia italiana fuori dalle secche.
E’ quanto emerge dal report mensile del Centro Studi di confindustria, peraltro come sempre nell’ultimo anno molto ottimista e filogovernativo, e di particolare nota per alcuni dati.
Ripresa Italia: +21% la produzione di autoveicoli tra settembre 2014 e marzo 2015
Si tratta della produzione industriale, che si è ripresa tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, con un aumento del 1,4% in sei mesi, e del 1,9% nel solo manifatturiero, il che vuol dire un 3,8% annualizzato.
Andando ad osservare i singoli segmenti spicca come siano proprio i beni non durevoli e di investimento, con un +4,1% e un +3,5%, ad aver sostenuto la ripresa. E in generale vi è stato il segno + in due terzi dei settori, ma soprattutto in quello della produzione di motoveicoli, con uno spettacolare +21,3%, seguito dalla farmaceutica (+17,6%) e dalla produzione di coke e prodotti raffinati, +10,7%.
Del resto finalmente sono aumentati gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto dopo un lunghissimo calo: +2,5% congiunturale, trimestre su trimestre nella prima parte del 2015, e in particolare spicca il +28,7% degli investimenti in mezzi di trasporto, a dimostrazione che vi è anche una domanda interna in questo campo ad accompagnare la produzione.
Persino gli investimenti nelle costruzioni – il settore che più di tutti ha visto un calo dell’attività anche del 30-40% negli anni della crisi – vedono un piccolo rimbalzo dello 0,4%.
Protagonista assoluta però rimane l’automobile, la FIAT, un’azienda che prima di Marchionne fatturava il 90% dei 27 miliardi di fatturato in Europa, in cui erano anche il 70% dei dipendenti, il 50% in Italia. Il rischio di questa concentrazione era enorme e la crisi, guarda caso scoppiata con la massima potenza nel nostro Paese più che in altri, lo ha dimostrato.
Era lo stesso Marchionne che nel 2012 scriveva ai dirigenti: “Lottavamo contro il fallimento, la svendita, la consegna dell’azienda nelle mani delle banche e dello Stato. Lottavamo contro l’estinzione della Fiat.”
Nel 2014 il fatturato di tutta FCA è stato di 96 milioni, di cui 54 in Nord America, con un utile totale di 632 milioni.
Per il 2015 FIAT punta a raggiungere la produzione di 5 milioni di auto e a tornare in utile nella divisione Europa, cosa che non accadeva da moltissimi anni.
Le mosse vincenti sono state l’acquisizione e poi la fusione con la Chrysler per approfittare dal 2010 della ripresa americana – mentre l’Europa e l’Italia ancora annaspavano nelle sabbie mobili della crisi – e la focalizzazione sulla gamma alta, come la Maserati, che nel 2014 ha venduto il 135% in più di auto e ha permesso l’acquisizione di uno stabilimento di Grugliasco, in cui sono stati tolti dalla cassa integrazione buona parte delle tremila persone che ora lì lavorano.
Poi la produzione in Italia della Jeep Renegade (esportata in USA, previsti 390 mila pezzi entro il 2015), e del SUV 500X a Melfi, dove è stata annunciata l’assunzione di 600 nuovi dipendenti (sono la gran parte dei 1000 nuovi per tutta FCA), che si aggiungono ai 1500 arrivati all’inizio dell’anno, funzionali appunto all’aumento della produzione nelle sedi italiane.
Queste assunzioni, tra l’altro in aree particolarmente depresse e colpite duramente dalla crisi come il Sud, generano certamente domanda in misura maggiore di un aumento dei salari di chi è già occupato, in quanto si tratta di persone con reddito zero o derivante comunque da casse integrazioni in esaurimento.
Ripresa Italia: l’ottimismo di Confindustria, ma le docce fredde sono in agguato
Il report di Confindustria prosegue con note di grande ottimismo anche su quegli indicatori che in realtà ad oggi hanno ancora valori negativi, come i consumi – calati dello 0,1% nel primo trimestre 2015 sul precedente – ma che sono previsti in aumento, grazie al balzo della fiducia dei consumatori: dal 98,3 del quarto trimestre 2014 al 106,9 in aprile-maggio.
Ad alimentare ottimismo anche l’aumento degli occupati in aprile, +159 mila persone su marzo.
Le esportazioni, anche dopo il calo di aprile del commercio con l’extra UE, sono viste in crescita nel secondo trimestre grazie agli indicatori degli ordini manifatturieri esteri in aumento, in particolare nella componente PMI, e al miglioramento dei giudizi delle imprese.
Tuttavia sono recentissimi i dati che smentiscono le previsioni sulla produzione industriale: Confindustria la dava in crescita dello 0,3% in aprile e invece l’ISTAT la certifica in calo, ancora una volta, dopo i progressi dei primi mesi dell’anno, dello 0,3%. Vediamo di seguito come l’andamento della produzione industriale sia piatto, tra cadute e risalite.
Confindustria da tempo ha deciso di scommettere sul governo in modo deciso, probabilmente anche per assenza di alternative, e sulle riforme che dovrebbero portare finalmente ad una ripresa.
In realtà, ironia della sorte, quel poco di ripresa che c’è è trainata proprio da una azienda, la FIAT, che con Confindustria ha rotto da tempo e da cui è uscita.